Dario Voltolini | Ragazzo

C’era una volta un ragazzo che di mestiere recapitava le pizze a domicilio. La cosa era organizzata bene: telefonando a una s...







C’era una volta un ragazzo che di mestiere recapitava le pizze a domicilio. La cosa era organizzata bene: telefonando a una specie di centralino si faceva l’ordinazione e, a seconda del domicilio, la pizzeria convenzionata più vicina cuoceva la pizza. A questo punto, il ragazzo la andava a prendere e, su di un motorino, la recapitava. Era vestito con una divisa amaranto, cappellino e tutto. Era basso di statura e rotondamente sovrappeso. Quando entrava nelle case, posata sul tavolo la scatola con la pizza, amava dare un’occhiata in giro e fare domande. Se entrava nella casa di un pittore, vedendo un quadro in preparazione domandava:

— Cioè lei disegna?

E poi cominciava a raccontare che anche lui, una volta, disegnava, ma cose diverse. Però non riusciva a spiegare bene che genere di cose – bisognava vederle – e quando il pittore lo congedava con una mancia, questa era un poco più ricca del solito, per esempio cinquemila lire. Tutte per lui. Non solo nel senso che la mancia uno se la tiene tutta per sé, ma anche perché normalmente la mancia era un semplice

— Tieni il resto
e allora dipendeva dalle volte, dal tipo di pizza, se c’erano o no le birre, cose congiunturali.

Quando recapitava la pizza durante la trasmissione di una partita di calcio, sbirciava il televisore e domandava:

— Cioè quanto sono?

Anche lui, una volta, giocava. Però in porta.

C’era una volta un bambino che non era capace di giocare a pallone e allora lo mettevano in porta, dove non era capace di parare. Pare che in Spagna parare sia una cosa molto ambita, hanno avuto Zamora e l’eco non si è mai spenta, così mettersi tra i pali è una promozione e non una bocciatura. Qui, al contrario, l’antroposociologo relazionale ha molte cose da dire sull’impatto che possono avere su una persona le dinamiche di gruppo che la costringono in porta a prendersi, quando va bene, pallonate agli occhiali.

Mentre tornava a casa, però, era abbastanza contento. Saliva le scale annusando l’odore dei gatti. Prima di cenare leggeva un fumetto. A volte si distraeva, o meglio si incantava, fissando le piastrelle esagonali del pavimento. Fu spesso sul punto di chiedersi come mai un pavimento può essere composto di figure tutte esagonali, mentre invece un pallone di cuoio deve avere anche alcuni pentagoni. La domanda gli galleggiava nel cervello per qualche minuto, senza mai precipitare in un pensiero ben fatto, con tutte le parole a posto, quindi evaporava al minimo movimento.

Nelle sere d’estate scendeva in strada a raggrupparsi con gli amici. Ogni tanto convinceva quello col motorino a lasciarglielo provare. In bici andava bene e quindi 142 imparò subito, cosa che gli tornò utile quando, abbandonata la scuola

— Cioè per lavorare
riuscì,  dopo anni di cui non ricorda più niente, a trovare quel posto da pony delle pizze.

Andava ancora a scuola, ma erano gli ultimi spasmi di quella storia, quando una ragazza che portava fuori il cane cominciò a far parte del suo gruppo di amici, le sere d’estate e anche i pomeriggi. Lui uscendo dal portone si accorgeva subito della sua presenza, perché lei aveva capelli così chiari e un cane così nero e occhi così vuoti che sembravano bianchi e tutto quel biancore lui lo notava prima ancora di vederlo anche se lei aveva un vestito scuro lui vedeva un luogo bianco in mezzo al gruppo dei suoi amici e anche se lei era magra da morire gli pareva non un chiodo ma una sferica perla. Ancora anni dopo lei gli tornava in mente nei modi più strani e imprevisti, vedendo il giocatore argentino Caniggia, per esempio, o la luna. Se i loro sguardi si incrociavano, il vuoto di quelli di lei lo aspirava. Prese a liberarsi di quei momenti salendo spesso a casa e ritornando qualche minuto dopo in strada e mentre saliva le scale l’odore dei gatti gli pulsava nella testa e nelle mani e persino le losanghe colorate delle finestre sui pianerottoli lo accecavano di giallo di verde di rosso, ma quando ridiscendeva anche l’ambiente intorno si era un poco placato, non sentiva odori e le losanghe si erano attutite e restava solo un leggero senso tra glande e prepuzio.

Ma non è possibile portare in giro pizze per tutta la vita, solo un grande poeta potrebbe farlo, uno di quelli per cui tutto il resto ha la medesima importanza, magari grande, ma diversa dalla poesia. Lui lo sapeva benissimo e lo spiegava a chi, dandogli la mancia, gli domandava notizie sul suo avvenire. Spiegava che quel lavoro andava bene, ma intanto arrotondava alla grande in altri modi

— Cioè col lotto

perché aveva trovato una specie di metodo, non diceva infallibile, però molto soddisfacente, e funzionava. Non solamente il lotto anche se le maggiori soddisfazioni gli venivano da lì: c’era tutto un giro di scommesse e di totoneri e a saperselo manovrare bene, senza eccessi ma senza tentennamenti, la vincita era sempre certa. Magari perdevi al lotto, ma recuperavi alle scommesse, insomma il bilancio era in attivo. Siccome è lo stesso ragionamento di chi, piccolo risparmiatore, gioca in borsa, molti stando a sentirlo provavano contemporaneamente un moto di simpatia e uno di repulsione, era simile e diverso, faceva come loro, ma non in banca, al bar.

Era uno con un progetto. Non era andato a bottega da un gommista che l’avrebbe pagato meglio, perché solo potendosi spostare nei quartieri della città col motorino avrebbe tenuto tesa la fitta rete di contatti per il lotto e le scommesse complicate sul minuto in cui avrebbe segnato Schillaci e pareggiato Caniggia. Sbandava infilandosi in una rotaia – colpa di Caniggia – ma presto si riprendeva.

Restava nel mondo della pizza a domicilio perché gli serviva. Quando avesse avuto soldi a sufficienza, si sarebbe comprato una cosa

— Cioè un bar
mettendosi in proprio, ma non finiva lì. Il bar della sua mente era un trampolino di attività, biliardo videogiochi scommesse; e probabilmente lui immaginava se stesso al piano di sopra perfezionare il metodo del lotto e poi scendere nel suo bar da una scala a chiocciola e nel retro del bar pavimentare un campo da calcetto e mettere su un centralino per servizio baristico a domicilio. Avrebbe dovuto assumere qualche pony. Questo pensiero lo fa fermare, a metà della sua scala a chiocciola, a riflettere. Dal basso salgono i rumori delle stecche sulle palle, i profumi delle piadine. Lui deve assumere un pony. C’è una geometria in questa cosa, un cerchio. Torna nel suo ufficio. Vuole girarselo per bene fra le dita questo pensiero. Si siede alla scrivania. Dai vetri colorati della finestra entra un mondo organizzato in losanghe. La apre, gli piace il vento in faccia, come quando faceva il pony.

Pensa alla fatica fatta per far quadrare il cerchio della sua esistenza, di come possa dirsi soddisfatto per essere sul punto di riuscirci, ma non è esattamente questo. Torna a sedersi. Mette ordine sul piano di lavoro, accostando fogli e sottobicchieri, schedine e agende. E finalmente lo acchiappa, il pensiero. Il pensiero di come un pavimento possa essere fatto di soli esagoni e un pallone invece no. A meno che. A meno che, aspetta un po’, a meno che il pallone non sia enorme, come la madre terra, che può infatti essere pavimentata tutta di soli esagoni, perché se posso fare un pavimento posso farlo grande come pare a me. D’altra parte un pavimento così rotondo, posso farlo anche con qualche pentagono, come fosse un pallone. Sorride. Un problema, per risolverlo, bisogna che i suoi pezzi possiamo stiracchiarli, deve essere fatto di pezzi elastici e noi essere forti per tenderli, ma non basta questo, bisogna anche non smettere mai di tenderli, essere disposti a farlo sempre, se è il caso, fin dove non si sa, anzi, sì che si sa, oltre e oltre

— Cioè all’infinito, — dice al pony che ha appena assunto. Il ragazzo lo guarda preoccupato.



DARIO VOLTOLINI,  è uno scrittore e blogger italiano. È nato il 19 aprile 1959 a Torino, dove vive. Dopo essersi laureato in Filosofia del Linguaggio ha lavorato nel laboratorio Speech & Language Lab. della Olivetti. Collabora all'inserto "Tuttolibri" del quotidiano La Stampa e alle riviste L'Indice e Pulp. Insegna tecniche della narrazione alla Scuola Holden e ha diretto la collana di testi sulla narrazione "Holden Maps" (BUR Rizzoli). Con Antonio Moresco ha curato il volume collettivo Scrivere sul fronte occidentale (Feltrinelli, 2002). Alcuni descrivono il suo stile come minimalista, altri vedono nella dimensione di "opera in corso" il segno distintivo della sua scrittura; Voltolini preferisce descrivere la propria tecnica di scrittura come spontanea e lontana dal tipico lavoro di limatura dei maestri del genere. È stato tra i fondatori del collettivo di scrittori e intellettuali Nazione Indiana, e ha in seguito fondato, con altri amici, il blog e la rivista Il Primo Amore. Collabora con vari artisti (pittori, fotografi, musicisti) e gioca nella Nazionale Italiana Scrittori dell'Osvaldo Soriano Football Club.


Opere

Una intuizione metropolitana, 1990
Di case e di cortili. Il Borgo Nuovo e via della Rocca in Torino, a cura di B. Sacerdoti, 1993
Neve (con Julian Schnabel), 1996
Forme d'onda, 1996; 2014
Onde, 1996
Fantasia della giornata, 1997
Le lontananze accanto a noi, 1997
Glunk, 1998
Il grande fiume. Impressioni sul delta del Po, 1998
In gita a Torino con Dario Voltolini, 1998
Primaverile (uomini nudi al testo), 2001
Signora, (con Rivka Rinn), 2002
I confini di Torino, 2003
Sotto i cieli d'Italia (con Giulio Mozzi), 2004
Il tempo della luce, 2005
Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia, 2006
Mille stelle, (con Nicola De Maria), 2006
Torino fatta ad arte, (con Giacomo Soffiantino), 2007
Fabio, 2008
Foravìa, 2010
Corso Svizzera 49 (con Giosetta Fioroni), 2011
Da costa a costa (con Lorenzo Bracco), 2012
Oltre le Colonne d'Ercole (con Lorenzo Bracco), 2014
Autunnale (dalla finestra sul teatro), 2015

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