Isabel De la Campa Enciso | Tiziano Scarpa: Un'intervista inedita*
DE LA CAMPA ENCISO: Com’è stato questo cambio di scrittura dalle avanguardie, questo taglio con lo academico come per esempio in Groppi di a...
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DE LA CAMPA ENCISO: Com’è stato questo cambio di scrittura dalle avanguardie, questo taglio con lo academico come per esempio in Groppi di amore sulla scuraglia, alla scrittura più convenzionale con questo libro, Stabat Mater?
SCARPA: Si, Stabat Mater è un romanzo breve, è una novella di cento pagine, ed è un monologo raccontato da la protagonista Cecilia, questa protagonista è una ragazza di quindici anni, per che lo dico?, lo sottolineo perché questa protagonista parla in maniera semplice, come una ragazza di quindici anni, anche se parla un italiano contemporaneo, questo romanzo è ambientato nel 1700, ma non ho assolutamente imitato l’italiano di tre secoli fa, ho fatto esprimere questa ragazza con un italiano abbastanza semplice perché mi sono immedesimato in lei e quindi ho lasciato da parte il mio stile per immaginare uno stile di qualcuno che non sono io, quindi questa è una semplice spiegazione che riguarda la immedesimazione negli altri, quando si scrivono dei romanzi ci si immedesima in persone che non siamo noi che li scriviamo. C’è anche un’altra scelta più poetica che riguarda una cosa che ho imparato da Giacomo Leopardi diceva che nella lingua ci sono due grandi categorie di parole, ci sono delle parole che si chiamano termini e che servono a specificare in maniera quasi scientifica ma molto speciale le cose, per esempio se io guardo adesso il cielo vedo delle amassi bianchi e li posso chiamare cumoli, ricci, cirri… e questi sono i termini specifici. Altrimenti in maniera più generica li posso chiamare nuvole. Leopardi dice per scrivere una poesia è consigliabile usare le parole non i termini, usare la parola nuvola non il termine, cirro, nembo, cumolo, cumulonembo, cumulonembo mammatus, cioè sono i termini, la terminologia è più specifica, descrive un oggetto però perde la vaghezza, se io dico nuvola nella mia mente, vengono in mente tantissime ricordi, immagini se io dico nuvola, se io dico cirro o dico cumolo mi viene in mente molto bene la forma specifica del cumolo che è diversa dal cirro che è diversa dal nembo, sono tipi di nuvoli diversi ma il termine scientifico individua in maniera precisa l’oggetto ma proprio perché lo individua in maniera precisa fa perdere le connotazioni, le idee secondarie, le evocazioni, le fantasticherie, i ricordi, che un termine più vago dice Leopardi, dice una parola è vaga ma proprio perché è vaga fa venire alla mente alla memoria tante immagini questo libro è scritto usando meno termini direbbe Leopardi, meno terminologia scientifica e più parole vaghe, che sono quelle che producono più evocazioni ecco, e quindi in questo linguaggio più semplice, più generico, più impreciso, meno preciso mi verrebbe da dire , una possibilità forse di essere piè evocativi e quindi con quella voce di Cecilia con il suo stile ho trovato il modo di entrare nel suo stile per riuscire ad essere più evocativo perché io personalmente quando scrivo con il mio nome ed il mio stile ho la tendenza ad essere più terminologico, ecco…
DE LA CAMPA ENCISO: Come vive lei la fortuna che nell’ambito critico ha avuto la sua opera visto che ha vinto il premio Strega nel 2009 con Stabat Mater?
SCARPA: Sì, il mio percorso è ormai di vent’anni che pubblico libri. Ho scritto più di venti libri, alcuni han avuto fortuna, altri meno, alcuni sono stati ignorati altri…, ecco io al inizio ho avuto questa fortuna, pura fortuna di pubblicare il mio libro nello stesso anno che l`hanno pubblicato Aldo Nove, Niccolò Ammaniti, Giuseppe Calicetti, Isabella Santacroce… e poi dopo è uscita questa antologia che si chiamava Gioventù Cannibale dove io non ero presente, ma in somma, quel anno lì quei libri avevano qualche affinità, analogia, e questo è servito a rendere un po’ più conosciuti tutti quanti questi autori, perché ogni volta che si parlava di uno si parlava anche degli altri, ecco. Poi ognuno è andato un po’ per la sua strada, alcuni hanno fatto delle cose insieme perché ci siamo conosciuti dopo questi primi libri, e diciamo che io si non ero molto… non sono stato molto fortunato con i libri successivi, sì, ho avuto una stima dalla critica, diciamo sono ritornato ad essere conosciuto, non dico famoso con questo premio del 2009, quindi tredici anni dopo il mio primo libro e io penso che il premio Strega in Italia è amato molto dal pubblico ma non è amato per niente dalla critica, per niente, anzi, se vinci il premio Strega non hai molta ammirazione da parte dei critici che pensano che hai vinto un premio commerciale, un premio che non è corretto, che non è organizzato in maniera pulita, ci sono mille dubbi su questo premio e quindi a volte è più una maledizione vincerlo, e in realtà per il pubblico serve tantissimo, perché ti fa rendere… Quindi con i mie ultimi libre come Il brevetto del Geco mi hanno come perdonato per vincere il premio Strega perché il mio ultimo libro “Il brevetto del Geco” è molto ambizioso letterariamente, e anche un po’ difficile anche da leggere, un po’ impegnativo ed ecco la critica dopo venti anni è tornata a considerarmi un autore in somma che forse ha qualche possibilità di essere considerato interessante , naturalmente i critici preferiscono i libri difficili come I groppi d’amore sulla scuraglia, quelli più originali, più strani, ma è sempre stato così, il pubblico, soprattutto il pubblico in quest’anni, il grande pubblico legge libri sempre più facili da leggere.
DE LA CAMPA ENCISO: Come concepisce lei il processo creativo dato che il suo posto nel mondo letterario sembra che abbia due volti, uno più individuale, intimo, il processo letterario e poi un altro in cui si apre al mondo (le performances)?
SCARPA: E chiaro che scrivere vuol dire stare da soli, e io scrivo da solo e affronto le parole, le parole che sono un’eredità delle generazioni che ci hanno preceduti, noi con le nostre lingue, l’italiano, lo spagnolo, sono lingue neolatine, sono lingue medievali insomma che si sono formate nel medioevo come elaborazione e sviluppo del latino e noi parliamo, scriviamo con le lingue che hanno inventato le generazioni passate e cioè scriviamo nelle lingue dei morti, dialoghiamo con i morti, da soli ma non lo digo in maniera macabra, anzi lo trovo molto tenero e dolce questo e quindi quando noi affrontiamo la parola giustizia, morte, luce, ma anche libro, pena, cucchiaio, orologio e come se parlassimo con i morti e questo dialogo con i morti, molto dolce, per niente funebre, per niente negativo io lo faccio da solo, scrivo da solo, poi ho un versante pubblico, e che soprattutto la scrittura per il teatro, cioè io ho scritto 15 testi teatrali, quello mi piace molto farlo perché lavoro con gli attori, i registri, mi confronto, mi dicono questa battuta non funziona, questo personaggio non è abbastanza sviluppato, questa parte è noiosa, tagliala, manca qualcosa, aggiungi, e questo per me è molto bello, salutare, benefico perché non sono solo.
DE LA CAMPA ENCISO: E diciamo che una parte complementa l’altra parte.
SCARPA: Poi c’è la terza parte che è quella che dici tu delle performances, quella è un’altra parte ancora dove io penso che la parola è anche fatta di voce, leggere in pubblico non è solo siccome siamo qua metto la voce su questa roba che scritta sulla carta, no, la performance è un’opera d’arte, anche la performance è un’opera d’arte, diversa dalla forma libro, io ho scritto delle cose che sono fatte per essere recitate in pubblico da me, lette in pubblico da me, per me la performance è un modo anche per far vedere come le parole mi cambiano, ti spiego velocemente, allora io quando faccio la performance non recito mai a memoria, io vado in scena con in mano con dei fogli di carta, allora cosa vede il pubblico, allora vede una persona con dei fogli di carta, con delle parole scritte sui fogli, queste parole le ha scritto lui, cioè io, le avevo messe fuori di me, sulla carta, bene. Cosa succede nello spettacolo, queste parole che sono cui sulla carta ritornano dentro di me e mi cambiano, mi fanno agitare, quindi mi fanno cambiare voce, mi fanno cambiare ritmo, respiro, mi fanno gridare o sussurrare, cioè qualcosa che era uscito da me ritorna in circolo dentro di me e causa, provoca delle conseguenze, delle emozioni, ma anche dei movimenti, degli atteggiamenti, un comportamento mio in scena, e quindi questo io offro con la performance, metto in scena il mio rapporto con la parola scritta che era uscita fuori da me, era finita sulla carta e adesso in scena ritorna dentro di me.
DE LA CAMPA ENCISO: Molto interessante. Secondo me lei si avvicina alla lingua proprio come lo farebbe un poeta in questo libro, cercando l’essenza della parola, con un linguaggio pieno di movimento, molto agile, ci sono dei risorsi poetici come la metafora, la comparazione, la sinestesia, la allitterazione, il parallelismo, la anafora, propri della poesia, ma che lei mette apposto nel romanzo in forma magistrale. Sono state pensate o hanno fluito così?
SCARPA: A me è servito molto scrivere in questo modo immaginare di essere una ragazza, libera di scrivere in maniera più intima, senza avere la preoccupazioni di dimostrare di essere intelligente, di essere complessa, di racchiudere e scrivere tutto quello che esiste, a volte si sceglie un personaggio e soprattutto un narratore, perché è ben diverso naturalmente la questione, questo qui è un personaggio narratore, è una narratrice, io ho lasciato a lei il compito di scrivere, lo so è una finzione, sono sempre io. Io sono riuscito ad esprimermi in questo modo, grazie al suo aiuto, alla sua mediazione, se vuoi usare dei termini più laici, più tecnici, più letterari. Grazie a questa finzione, questa maschera, questo filtro, Cecilia la protagonista, la quindicenne che scrive al posto mio, il suo stile la sua voce i suoi termini e le sue preferenze, i suoi gusti, ecco, usa delle metafore, delle figure retoriche che se scrivessi io con il mio nome e cognome non userei, quindi mi ha aiutato ad andare in un posto dove io da solo non sarei riuscito ad arrivare, ecco.
DE LA CAMPA ENCISO: Ma è difficile anche questo, perché il cambio di registro, di linguaggio…
SCARPA: Sì, certo, è difficile però è anche stato liberatorio, cioè perché per me è stato come vivere attraverso le parole una esperienza che io così come sono, sono un uomo maschio, quando l`ho scritto avevo 46, 45 anni, cioè, sono di quest’epoca contemporaneo, maschio, di 46 anni, di quest’epoca, attraverso le parole, questo modo di scrivere sono entrato forse, ho provato ad avere l’esperienza attraverso l’immaginazione, ma un’immaginazione verbale, un immaginazione fatta di parole, e io ripeto maschio quarantacinquenne del 2008, 2007 quando l’ho scritto, ho vissuto così l’esperienza di una quindicenne donna, ragazza, di tre secoli fa, e quindi con tutto quello che c’è qui dentro, diverse metafore, diverse figure retoriche, diversi gusti, diverse preferenze, diverse paure, diverse emozioni che non sono le mie emozioni.
DE LA CAMPA ENCISO: E poi riuscire ad arrivare ai lettori con queste emozioni…
SCARPA: Devo dire che mentre l’ho scrivevo, un po’ mi vergogno a dirlo ma lo dico con sincerità, mi sono molto emozionato in certe parti.
DE LA CAMPA ENCISO: Io mi sono emozionata a leggerlo, perché l’abbandono è così forte e anche il sentimento di lei che quando riesce ad uscire da questo carcere dell’anima che ho chiamato io, con la musica, è come se anche il lettore riuscisse a fare lo stesso, a liberarsi, e finisci il libro liberato.
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SCARPA: Sì, io lo spero, ed è strano perché io nella mia vita non ho avuto quest’esperienza di abbandono, non certo così forte, ma mi sono emozionato quando lei racconta per esempio di avere suonato per la prima volta certe cose molto potente, e anch’io mi sono emozionato scrivendole come quando ho fatto le performances tratte da questo libro ci sono dei punti dove mi emoziono sempre, mi viene da piangere, mi escono le lacrime, perché mi immergo dentro questo personaggio, pur non avendo niente che fare con queste esperienze, non è la storia della mia vita, non c’entra niente con la mia vita.
DE LA CAMPA ENCISO: I nomi Cecilia, Antonio Vivaldi, Stabat Mater, sono casuali nella sua opera?
SCARPA: Casuali no, Cecilia è un bel nome, è abbastanza tra virgolette casuale, nel senso che mi piace tantissimo il nome, Cecilia, avrei potuto scegliere un nome delle ragazze del orfanotrofio della Pietà di Venezia, perché abbiamo i nomi delle cantante, delle musiciste, sono rimasti nei documenti, ma ho preferito prendere un nome che piaceva a me, che non era nella lista, nelle elenco di queste ragazze, almeno, magari ci sarà anche stata una Cecilia che è vissuta lì, ma non è neanche un nome veneziano, certo mi hanno detto alcuni, la Santa della musica, ma no, non è per questo che l`ho scelto, perché è un nome bellissimo Cecilia, e mi piaceva, ecco. Antonio Vivaldi, certo, Antonio Vivaldi è un compositore immenso è anche troppo vanale, nel senso che è troppo conosciuto come La Gioconda di Leonardo, come La Mona Lisa, la torre di Pisa, le quattro stagioni di Vivaldi, sono quelle cose talmente conosciute che sono insopportabili diventate, perché a punto uno dice, la torre di Pisa, si, è una cosa troppo turistica, Mona Lisa, si un capolavoro, La Gioconda, Leonardo, però, basta, non ne posso più, allo stesso modo Le quattro stagioni, basta non ne posso più, le abbiamo sentite mille volte, nelle segreterie telefoniche, tutto, ecco, però ho cercato invece di dall’interno cercare di far capire, che novità potente e prodigiosa è stata nella sua epoca questa musica così liberatoria, soprattutto se è fatta suonare a delle ragazze che erano chiuse e triste in questa situazione di abbandono, di povertà, anche di vergogna, perché alcune pensavano di essere figlie forse di prostituzione, di essere state abbandonate come frutto di unioni non volute, insomma, ecco, queste povere ragazze attraverso la mediazione della musica hanno trovato anche una via, anche un lavoro, perché potevano, grazie alla musica poi lavorare, essere conosciute, guadagnare dei soldi e quindi si, Vivaldi non è stato casuale certo.
DE LA CAMPA ENCISO: È anche il suo compositore preferito, dei compositori.
SCARPA: È uno dei miei compositori preferiti, si, non posso dire che sia il mio compositore preferito in mezzo ad altri, però per un periodo è come se mi fossi…sai quelle cose che pensi di conoscere perché sono troppo famose, sai sono tante cose che tu credi di conoscere perché sono super famose e invece dici io non sapevo che Vivaldi aveva scritto tante opere liriche, era un impresario, era un imprenditore dello spettacolo, pagava ai musicisti, pagava agli scenografi pittori, pagava ai librettisti, pagava ai cantante, cioè rischiava i suoi soldi, capito, in più insegnava a queste orfane e quindi ho pensato che attraverso la sua musica scritta per La Pietà, lui ci ha consegnato anche un ritratto musicale di queste ragazze, perché scriveva per la loro voce specifica, perché certe parti sono scritte a posta per quella cantate lì, perché aveva delle doti, delle qualità musicale, che non aveva un’altra cantante e noi abbiamo il nome di chi ha cantato le parti alla Pietà, c’è le abbiamo, e quindi è come se lui avesse fatto un ritratto con la musica di Apollonia, di Marietta, di Lucia, capito, di ognuna di queste ragazze, ecco, e quindi, Antonio Vivaldi non è affatto casuale in questo libro, non avrebbe potuto essere un altro compositore, no. Il nome di Stabat Mater è per la preghiera latina, si è un riferimento non troppo forte, certo, la madre e cui è naturalmente la figura mancante è nella preghiera di Giappone da Todi è un inno latino, medievale, la situazione è completamente diversa, perché dice Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa dum pendebat filium, questo è l’inizio famosissimo cioè la madre di Gesù, sottinteso stava ai piedi della croce, quindi durante la crocifissione, vedeva suo figlio, non ancora morto, agonizzante, inchiodato, sanguinato, una situazione terribile di una madre che vede la tortura, la morte, la agonia, e quindi piange, si dispera sotto la croce alla quale era appeso suo figlio, cioè una situazione terribile, classica, che sappiamo bene e queste parole, molto belle, scritte bene da Giacoppone da Todi sono state musicate da tanti musicisti, tantissimi musicisti, anche Vivaldi. In questo caso è quasi un titolo metaforico perché non c’entra niente qui.
DE LA CAMPA ENCISO: C’è anche la Signora Madre con cui parla tutto il tempo
SCARPA: Naturalmente, cui la Madre è la protagonista assente però. Alcuni mi hanno detto un po’ scherzando, veramente il tuo libro, dovrebbe intitolarsi “Stabat Figlia” perché è la figlia che sta lì, hai piedi di una madre che non c’è, diciamo, e si dispera. Cioè per essere un molto precisi, un po’ pignoli dovrebbe intitolarsi, “Stabat Fligia”, la figlia se ne stava lì a lamentarsi…
DE LA CAMPA ENCISO: È quella che piangeva…
SCARPA: … a piangere, a scrivere a la madre, dove sei, chi sei, esisti, sei viva, sei morta, perché mi hai abbandonata, non mi hai voluta, sei morta di parto, eravamo troppo poveri…capito, lei non sa niente come sai bene.
DE LA CAMPA ENCISO: La prigione in cui sta sommersa l’anima di Cecilia dopo l’abbandono, la libertà che sente attraverso la musica ci fa vedere che c’è un vincolo forte nel romanzo tra musica e libertà, un vincolo spirituale e profondo. Due domande su questo: Perché l’abbandono? C’è qualcosa di personale in questo salvataggio attraverso la musica?
SCARPA: Allora, perché l’abbandono? Questa è una bella domanda, questo deriva da una mia ininterrotta sorpresa condizione di stupore per le coincidenze e il destino delle persone, che cos’è successo, ecco questo è il motivo principale per cui ho cominciato ad immaginare di scrivere questo libro, e successo che io sono nato, come dico nel appendice del libro, nella poste fazione, sono nato in questo normale ospedale pubblico, dove negli sessanta, fino agli anni sessanta del secolo scorso nascevano tutti i veneziani più o meno venivano partoriti, messi al mondo in questo posto normale ospedale pubblico, e la sede era la Pietà, la stessa sede, le stesse stanze, lo stesso edificio dove qualche secolo prima, i bambini e le bambine venivano abbandonati, allora io ho aperto gli occhi per la prima volta… Nella mia nascita, nelle stesse stanze dove una volta i bambini e le bambine già partoriti prima venivano abbandonati, quindi io ho avuto una madre, un padre che mei hanno voluto bene, che mi hanno cresciuto, che mi hanno tenuto con se, ma l’inizio della mia vita, proprio il inizio vero, il primo momento, il momento in cui io ho aperto gli occhi, ho respirato per la prima volta è stato nello stesso posto dove invece per altri bambini e bambine meno fortunati di me diciamo, cominciavano la loro vita, anche si erano già stati partoriti qualche giorno prima, probabilmente, sicuramente, e non avevano famiglia, molti di loro non sapevano neanche da dove venivano, crescevano lì e allora quindi riflettere sul fatto che il punto di inizio di stato della mia vita è stato lo stesso, ma la mia vita è andata verso una direzione, mentre la vita di questi ragazzi e ragazze è andata in un’altra direzione, ma tutti due, cioè io e gli altri veneziani nati alla Pietà, e invece quelli del secoli scorsi, queste vite sono cominciate nello stesso posto, ecco questa distanza, diversità di destino mi ha spinto a studiare, a informarmi, a capire come si viveva in questo orfanotrofio, perché dici, anche da bambino mi ero domandato, ma guarda perché io ho una famiglia la mia vita è cominciata nello stesso posto mentre altri sono nati come me e sono cresciuti in quel posto, invece non hanno avuto genitori, figli, fratelli… e questo mi ha fatto scattare la voglia di immedesimarmi in questo, in più io non ho una sorella, e quindi è stato anche bello immaginarmi una ideale immaginaria sorella mia di tre secoli fa, ecco, diciamo così, quindi in questo senso si, salvataggio attraverso la musica secondo me qualcosa è vero, Cecilia si, trova un suo modo di salvarsi attraverso la musica, ma un modo specifico perché Vivaldi per lei non è solo una musica, nuova, diversa, in italiano, non so in spagnolo c’è un modo di dire quando qualcosa non funziona più e anche qualcuno è un po’ arrabbiato dice magari, anche in una azienda, in un ufficio, magari le persone lavorano poco o pure c`è una organizzazione sbagliata, o pure in casa non so, i figli non puliscono le stanze, allora magari il capoufficio, la mamma, il pappa dicono: “da domani si cambia musica”, cioè o pure si volta pagina, si cambia organizzazione, è un modo di dire, non so si in spagnolo si dice uguale.
DE LA CAMPA ENCISO: Decimos: “Comenzar de cero”.
SCARPA: Sì, si ricomincia da zero, è un altro modo per dire ricominciamo da zero, o pure “domani ricominciamo da zero” vuol dire tornare da zero, non è per forza ricominciare dal primo paso e proprio cambiare completamente musica, cambiare…
DE LA CAMPA ENCISO: E come se lei toccasse fondo, basta con la sofferenza.
SCARPA: Sì, per lei sì, ma diciamo io adesso stavo dicendo un’altra cosa, cioè Vivaldi in questo orfanotrofio, e anche a Venezia, e anche nella storia della musica ha veramente cambiato musica, ed è divertente, interessante, perché cambiare musica nel caso di Vivaldi è letteralmente, nel caso anche oggi dei modi di dire in italiano, cambiare musica vuol dire anche cambiare organizzazione, cambiare il nostro rapporto, il modo di impostare le cose, capito, da domani tu non vieni più a casa dopo mezzanotte, si cambia musica se non vieni entro mezzanotte a casa (la mamma e il figlio il classico), bene, si cambia musica, e allora per lei è cambiata musica, una musica molto più viva, potente che quella di questo vecchio.
DE LA CAMPA ENCISO: Quella di Giulio…
SCARPA: Un personaggio di invenzione con cui io rappresento la musica del Seicento…
DE LA CAMPA ENCISO: Che rappresenta l’oscurità….
SCARPA: Io sono stato un po’… ho esagerato nel rappresentare la musica prima di Vivaldi con questo vecchio prete, in realtà la musica del Seicento è bellissima, e anche molto vivace può essere, però è chiaro che Vivaldi ha apportato una accelerazione, una passione, una potenza, veramente ha iniziato imparando da Corelli, da Arcangelo Corelli e poi in somma, ecco, ha apportato… In più c´`e altro fatto però che Vivaldi spinge Cecilia a non vivere, a non sentirsi più vittima, guarda che non sei tu solo la vittima, per esempio sei tu stessa che produci vittime, stai suonando la tua vittima, tu suoni un agnello morto, uccidilo tu, prenditi la responsabilità di uccidere l’agnello, cioè non sei solo tu vittima, anche tu produci vittime, e quindi forse questo se tu te ne rendi conto.
DE LA CAMPA ENCISO: E non puoi cambiare musica o passare pagina se sei vittima.
SCARPA: Sì, se continui a pensare, ah, sono la vittima, si è vero purtroppo sei la vittima, è vero, sei stata abbandonata, ma se resti là non cambi musica, non basta la musica, e infatti questa cosa che lei uccide l’agnello, per lei, la sconvolge, perché non è solo perché poverino l’agnello e le uccide, non è solo quello e perché rinunci alla tua consolazione di vittima, dici io sono la vittima. Si, ma non sei solo tu, anzi, ci sono delle vittime che sono tue vittime, sotto di te, e infatti tu suoni, diciamo che fino a quel momento lì Cecilia suona il suo essere vittima, da quel momento in poi capisce che sta suonando altre vittime, no… diciamo così spiegato un po’.
DE LA CAMPA ENCISO: Si capisce benissimo. Ci sono dei simboli della tradizione cristiana nel suo romanzo Stabat Mater, l’agnello, il sangue, il serpente, e questa testa di serpenti…
SCARPA: Sì, questa viene anche della tradizione classica, alla Medusa, insomma, non ho inventato niente, sono quasi fondamentali, quasi antropologici più che cristiani.
DE LA CAMPA ENCISO: Sì, certamente, questa è stata per me una delle cose più interessanti da investigare, secondo il mio punto vista i simboli e la modernità all’incrociarsi arricchiscono il romanzo e forse è questo che da questa fluidità…
SCARPA: Questo è molto interessante.
DE LA CAMPA ENCISO: Lei ha pensato questo prima di scrivere il romanzo? A fare questo mischio tra modernità e simboli antichi?
SCARPA: È interessante questo che mi chiedi, io credo ancora una volta che posso risponderti dicendo che mi è servita Cecilia, cioè se io avessi dovuto scegliere i miei simboli sarebbero stati più raffinati, più sofisticati, più strani, più sorprendenti, meno banali, meno conosciuti, per esempio nel ultimo libro romanzo pubblicato il mio simbolo è stato il geco, e con la sua particolarità che la scienza ha scoperto solo da quindici anni di come rimane attaccato a la superficie, adesso non divaghiamo, questo è un simbolo molto contemporaneo, si, il geco esiste da milioni di anni, si, ma la sua particolarità è stata scoperta dalla scienza da pochi anni, ecco, mentre il sangue, l’agnello, il serpente, sono cose che anno migliaia e migliaia di anni, ecco, è stato grazie alla narratrice, cioè una mediazione di un personaggio narratore, che ha raccontato la sua storia al posto mio, cioè ha raccontato non con le mie parole, con le sue parole, diciamo così, e quindi, ancora una volta non solo ha scelto le parole, lo stile, le sue preferenze, le sue immagini, le sue angosce, le sue paure, ma anche i suoi simboli, io ho dovuto fare i conti con i suoi simboli che non sono i miei, perché mi sono immedesimato nei suoi simboli, e quindi l’agnello, il sangue, e questo è vero, si incrocia con la mia sensibilità contemporanea, è vero, c’è un incrocio tra quello che interessa a me, perché l’ho scritto io questo libro e però anche dei simboli che se non ci fossi stata questa storia, questa protagonista, questa ragazza, io non avrei avuto nessun interesse per il serpente, teste di serpenti, sì, esistono là, Medusa, mi hanno parlato tante volte, non mi interessa parlare a me di Medusa…
DE LA CAMPA ENCISO: Vorrei sapere qualcosa sulla intra storia del romanzo, ci sono delle coincidenze con la sua vita, ha qualche relazione con l’ospedale della pietà di Venezia che è stato un orfanotrofio tempo fa? Lo abbiamo già detto.
SCARPA: Ho risposto alla seconda parte della domanda, la prima parte, altre coincidenze, non direi.
DE LA CAMPA ENCISO: Non tanto.
SCARPA: No, quella fondamentale è quella che ha l’origine di qui ho parlato prima.
DE LA CAMPA ENCISO: La curiosità di quello che è successo in quel posto.
SCARPA: Certo.
DE LA CAMPA ENCISO: Ed è venuto fuori tutto il resto.
SCARPA: Sì, tutto il resto non ha a che fare con la mia esperienza personale. È naturale che…
DE LA CAMPA ENCISO: I sentimenti sono umani…
SCARPA: Anch’io ho visto che… ma non solo, ma anch’io naturalmente in una città dove una volta c’erano tantissimi gatti per la strada, anch’io da piccolo ho visto uccidere i gattini, è una cosa talmente banale, ovvia, cioè che abbiamo visto tutti, non è da lì che viene…il romanzo naturalmente.
DE LA CAMPA ENCISO: Poi c’è tanto dal mondo immaginario anche.
SCARPA: Sì, anche sì, ho immaginato queste scene, l’ho inventate.
DE LA CAMPA ENCISO: Pensavo adesso ai fiumi di sangue.
SCARPA: Beh, non tanto perché quando c’era il macello a San Giove lì i canali erano rossi, per esempio, o pure però non l`ho viste io, ho letto nei libri di Storia, ho immaginato, anche magari per sbaglio in certe giorni fosse possibile questo, o pure il fatto che i bambini venissero buttati purtroppo nei secoli molto antichi, i bambini non voluti venivano abbandonate per la strada o peggio, alcuni uscissi, dopo appena nati, quindi una storia terribile e questo no è inventato, ecco.
DE LA CAMPA ENCISO: Ho osservato nel suo romanzo, e questo per me è stata una rivelazione una dualità che c’è tra la oscurità e la luce, e l’ho interpretato come una dualità dell’essere umano, tra prigione e libertà, tra oscurità e luce, questo si può osservare in una lettura profonda del romanzo, che Cecilia ha una lotta interna dentro di sé, a Lei sembra adeguata quest’interpretazione di quella dualità, di quella lotta interna?
SCARPA: Sì, senz’altro, io penso di sì, non saprei dirti, un po’ perché non me li ricordo, un po’ perché non è quello l’importante, quali fossero le mie intenzioni quando l’ho scritto, io naturalmente ero molto affascinato da questa storia, da questa situazione, è un libro in cui in gran parte si parla di una situazione, c’è poca storia, c’è una situazione con varie scene, varie possibilità, varie variazioni di questa situazione, quindi, e poi a un certo punto arriva il nuovo musicista e lì comincia in un certo senso la storia, dopo sessanta o settanta pagine una storia molto piccola di poche decine di pagine, e come se una situazione al improvviso precipitasse verso una catastrofe, una piccola catastrofe benefica, salutare, ok… bene, quindi io ero affascinato dalla situazione e dalla possibilità che questa situazione mi dava di immaginare, di raccontare delle scene, quasi delle pozzanghere, di stagni, di laghi, più che un fiume, una storia tutta piena di avvenimenti, uno dopo l’altro, no, sono come delle chiazze d’acqua, delle situazione allora, la musica in chiesa, lei che suona di notte, quando scopre come nascono i bambini, sono piccole chiazze separate, ferme, stancate, acqua stagnante, e poi all’improvviso comincia il movimento, la passione, la musica nuova, Vivaldi, ecco, e allora ricomincia il movimento delle cose che succedono, ecco, questo mi ha affascinato, ma come vedi ancora una volta torniamo alla prima risposta, cioè il fatto di avere questa protagonista, quindicenne, che scrive in maniera più semplice, come hai usato tu la parola mi ha aiutato ad andare all’essenza, quindi anche alle categorie primarie, semplici, quelle, la luce e l’oscurità, a punto, l’estasi e il movimento, l’abbandono e la vivacità.
DE LA CAMPA ENCISO: Di guardare le grate che non puoi uscire a guardare il cielo con le stelle.
SCARPA: Esatto, esatto, cioè il carcere e la libertà, cioè se ci pensi sono categorie talmente fondamentali che quando si affrontano così diventano anche un po’ difficile da trattare, che diventano non dico banali, ma un po’ ovvie, non dici adesso scrivo un libro sulla luce e l’ombra, si, ripeto quando io scrivo romanzi ambientati oggi sono un pochino più complesso, più raffinato, più sofisticato, perché non c’è solo la luce e il buio, in medio ci sono tante cose. Però per una volta, per questa volta, grazie a questo protagonista, questa protagonista, Cecilia, ho potuto forse trattare più da vicino queste categorie, questi concetti, quest’esperienze, la luce, il buio, la libertà, il carcere, la musica e la disperazione, eco, in maniera più diretta e più essenziale, più semplice, più primaria, anche usando delle parole che non io non ho spesso il coraggio di usare, anche poi mi farai leggere la prima parte, io avrei molto pudore a dire, usare parole come disperazione, angoscia, vedi, sono parole che arrivano subito, angoscia, disperazione, la mia malattia e la mia cura, sono tutte parole che per me sono molto importante, troppo importante, e se vengono usate, nominate, in un certo modo, facile, non sono molto credibili, io diffido, non mi fido di quei poeti, di quelle autore o autrici che hanno la disperazione facile, la angoscia facile, capito, metti la parola angoscia, disperazione, metti la parola luce, metti la parola, capisci, felicità, ecco, è troppo semplice, troppo facile, troppo comodo usare così queste grande parole che significano tutto ma anche niente, che fanno effetto: la parola dolore, sofferenza, infondono rispetto, soggezione, uno dice il mio dolore, vediamo se è un dolore vero o se fai finta, per farti rispettare lo usi questo concetto.
DE LA CAMPA ENCISO: No è che soltanto con la parola…
SCARPA: Sì, hai capito, quindi io ho molto pudore, molto rispetto, proprio perché per me sono parole importantissime, sono parole talmente fondamentali che per usarle bisogna guadagnarsele, e allora io con questa scorciatoia ho pensato che lei potesse permettersele queste parole, aveva il diritto di usarle queste parole, mentre io non so se ho il diritto per usare queste parole, quando parlo di me.
DE LA CAMPA ENCISO: Sì, perché lei ha complessità nell’interno di lei.
SCARPA: Lo spero, lo spero.
DE LA CAMPA ENCISO: Per questo parlavo io della dualità anche di lei stessa. Con tutti quelli sentimenti, in un momento sembra una persona, in un altro un’altra, quando suona…
SCARPA: Si in dei momenti è dura, severa, in dei momenti è dolce. Si verso la madre anche un po’, in certi momenti la odia, in certi altri è comprensiva, la giustifica, in altri non l’accetta, quindi insomma spero che non sia monodimensionale, ecco, spero insomma.
DE LA CAMPA ENCISO: Per me no. Antonio Vivaldi, le quattro stagioni, l’ospedale di Venezia, le bambine che suonano sono veri, ma senza il mondo immaginario, l’inventato non ci sarebbe nel romanzo secondo me magia, che è quello che si trova. È la fantasia che rende il romanzo magico, mi è piaciuta una parte de la prefazione del Brevetto del geco in cui lei dice “Una certa ostentata mescolanza di oggettività e invenzione dovrebbe servire a instillare in chi legge un continuo dubbio sulla veracità del responso, ma è proprio questo il mio oggettivo, farsi che il lettore si chieda se quel che sta leggendo è almeno in parte inventato”.
SCARPA: Sì, questa cosa era naturalmente molto più pertinente alla storia del Brevetto del geco, perché lì l’introduzione dice qui racconto quello che è successo, ma non voglio far capire di chi sto parlando e non voglio neanche far capire troppo se quello che si dice di questo inizio, di questo movimento sovversivo, di fondamentalisti è una legenda, una realtà, lo vedrete, troverete cose finte, cose vere, ed altronde è così che è nato questo movimento dice la finzione del romanzo nel Brevetto del geco, per alcuni è una legenda, per alcuni è andata proprio così, per altri che sai, quindi, anche questo racconto mescola legenda e fatti reali, e questo voglio che sia. In Stabat Mater, si la situazione non è molto diversa, ma non c’è proprio questa intenzione dichiarata, qui si parla di qualcosa che era reale, però è anche vero che io ho inventato molto, è proprio vero, e alcune persone hanno letto questo romanzo pensando che veramente alcune cose che io ho scritto qui succedessero da vero, è stato un po’ buffo, un po’ pericoloso perché non è vero che quando andavano in gita, né in barca queste ragazze avevano la maschera e in certe presentazione…
DE LA CAMPA ENCISO: Ma è giusto, è un romanzo, lei si può permettere di fare queste cose…
SCARPA: Certo, ma ti volevo dire è buffo, è divertente, che alcune persone molto serie, molto studiosi in pubblico dicendo “pensate queste ragazze a Venezia nel 1700 le portavano in giro in barca ma dovevano essere nascoste con le maschere, perché …” ma no, l’ho inventato io questo, non è vero, mi piaceva, era molto suggestivo, è un’stupidaggine, l’ho messo io per creare una magia.
DE LA CAMPA ENCISO: E si crea.
SCARPA: Infatti alla fine ho chiesto mille volte scuse dicendo…
DE LA CAMPA ENCISO: L’ho letto alla fine del libro… dici ci sono anacronismi
SCARPA: L’ho detto se volete vedere veramente com’è la situazione leggete questo studio storico che sono bellissimi, perché qui l’inspirazione è quel luogo lì…
DE LA CAMPA ENCISO: È quello il bello prendere qualcosa che esiste ma…
SCARPA: Questa volta è stata così. È stata l’unica volta in cui l’ho fatto, perché è l’unico mio romanzo, chiamiamolo romanzo, son cento pagine, non è un romanzo, un mio racconto lungo, novella, perché non è come voi in spagnolo, per noi novella è un racconto di 70, 80 pagine, questo è una novella, un racconto lungo, un romanzo brevissimo, in somma, non è un romanzo, onestamente, anche perché è un monologo, una persona sola, che parla, insomma, è breve. È stata l’unica volta in cui io ho preso una situazione storica del passato, perché gli altri miei libri non sono ambientati nel passato e su un fondo reale, documentato, come quello dell’Ospedale della Pietà ho inventato delle cose. È stata l’unica volta che ho usato questa mescolanza di storie, di invenzione, poi è una tradizione talmente ovvia, banale, in quella tradizione della letteratura in Italia era anche il dibattito che si faceva nel 1500 ed è durato fino a Manzoni, Alessandro Manzoni, e la mescolanza che c’è nei romanzi storici e prima nei poemi cavallereschi, in Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, nel Orlando Furioso ancora di più, di Ludovico Ariosto, anche i teorici, i critici letterari, chiamiamoli così dell’epoca, dicevano sì, e meglio fare un romanzo storico, un poema cavalleresco, ambientato per esempio nelle Crociate perché sono cose successe tre, quattro secoli fa, cinque secoli fa, due, tre, quattro secoli fa, le ultime Crociate 1200, e quindi questi avvenimenti sono abbastanza lontani, non c’è una memoria recente, e quindi si sa che sono successi da vero, ma non si sa bene… si è dimenticato cosa è successo e quindi il poeta diceva allora, l’autore del poema cavalleresco, il romanzo in versi dell’epoca ha la libertà di usare qualcosa che da un lato può essere creduto perché da un lato dici guarda che le Crociate sono Godofredo di Guglione, di cui parla Torquato Tasso, è esistito da vero, no, però allo stesso tempo io posso inventare perché non è successo 10 anni fa che tutti quanti vi ricordate cos`è accaduto, è successo tre secoli fa, quattro secoli fa, quindi ho la libertà di metterci dentro delle cose che inventato io, però allo stesso tempo non è una fantasia assurda che mi potete dire ah… ma tu cosa ti inventi? E proprio vero che i cristiani all’epoca si marmavano è andavano in Palestina, a Gerusalemme, dov`era seppellito, si dice che fosse stato seppellito Gesù prima della sua resurrezione, si crede, e quindi questo è per esempio, perché ho detto questa cosa, non voglio fare il profeta, il professore di letteratura che non sono, non sono professore, ma per dire che questa mia idea di mescolanza tra storia e immaginazione, proviene da una tradizione storica, anche letteraria, italiana e non solo italiana, di romanzo storico che è quasi ovvia, insomma, di mettere insieme avvenimenti reali e avvenimenti inventati basandosi per gli avvenimenti reali in situazioni storiche documentate, ti ispirano, perché dici guarda spesso il passato è un tesoro di cose sorprendenti.
DE LA CAMPA ENCISO: È suggestivo, quando passano degli anni…
SCARPA: Ma veramente c’era un posto dove le orfane imparavano a suonare, le facevano cantare dietro le grate di metallo in alto, però non erano suore, potevano sposarsi.
DE LA CAMPA ENCISO: Ed era Antonio Vivaldi ad insegnarli.
SCARPA: È incredibile, veramente, ecco, per cui queste cose qui a me hanno ispirato, in più come ti ho detto sono nato lì e tutto questo mi ha dato da un lato lo spunto, mi ha fatto poggiare i piedi su un terreno solido, la Pietà è esistita, Antonio Vivaldi è esistito, le orfane suonatrici e cantanti sono esistite, su questo terreno solido ho potuto danzare appoggiando i piedi per terra, ecco.
DE LA CAMPA ENCISO: Grazie mille per la intervista
SCARPA: Grazie a te.
* Duomo di Milano, 19 marzo 2017