Rosaria Lo Russo: Gaiezza mala e altre poesie

GAIEZZA MALA L'autore, se voi lo conosceste direste c'have una fisionomia smarrita... Come cucina invasa da formich...






GAIEZZA MALA


L'autore,
se voi lo conosceste

direste c'have una fisionomia smarrita...

Come cucina invasa
da formiche,
il viso mio
d'un fluido nefasto
s'imporpora
spare d'un chiaro il sorriso...

Ahi! Gaiezza mala!

Le molli ginocchia si piegan
è il latte che scivola
dai sorrisi diserti
da dense pietà
da denti serrati
fra i serragli animati.

Cammina cammina
bla bla
questo presente non sogna
bla bla

quest'acqua non lascia
che niente sia intatto,
si prende i sensi
l'infetta
leva di senso
è salsa,
scuce cicatrici
pezzi di mani
è gettito e gettito
brividi e sangue

Orrore!

L'autore
se voi lo conosceste

direste c'have una fisionomia smarrita

Dammi un farmaco onomatopeico,
un veleno omeopatico,
questa cappa di monaco
scucita
senza gli occhi della mente,
m'ammacca,
m'ammolla le ginocchia
sulle caviglie tornite
forgiate da corse
di cavalla gaia
al galoppo
su cavallo a pelo,
quest'acqua maledetta
che borboglia,
quest'aceto.

Scovami un esorcismo
un borborigmo
dalla Babele acustica
ch'intreccia la lingua,
scoviamo un esorcismo
ché non s'offenda il grande forgiatore
di mani e lingue

ché noi amammo
questa Babele irrequieta
questa lingua
questa lingua posseduta
a colpi di fianchi,
scoviamo un esorcismo
perché di nuovo scorra
lattemiele
a lavar budella sazie.

L'autore,
eh, eh
voi lo conoscete,
dite c'have una fisionomia smarrita?

Salda le dieci dita,
oh licor di lingua
ch'ubriaca,
che non s'offenda la mano
del frale di Dio,
scalda il fiato
mia Babele dolcissima,
forgia di nuovo
quella fisionomia smarrita,
le sue corde sfibrate
attracca!

Ché son di lei stessa
che vorrebbe saziarsi di me stessa
se ne trovasse il modo ermafrodito.


LUNA SAGITTARIA

Ti ho portata
sulla spiaggia
della luna sagittaria

dove scalpitan cavalli
ti ho portata

I cavalli sulla luna
pestano senza rumore
corrono immobili
i cavalli sulla luna
e gli occhi enormi e folli
si bevon le maree.

Ti ho portata qui
perché m'hai chiesto
cos'era quel movimento
il brivido che scorre
a tratti a salti
a fossi e saltafossi
a bòtte,
quell'immobile sussulto
- così timido -
sono i cavalli sulla luna.

Tu non ti ricordavi
di quel tempo:
quando avevi un corpo gotico
e enormi anelli i tuoi occhi
come maree bevevano la terra

quando regnavi
su guglie di sabbiebianche
mite cavalla
da fremiti attratta
a salti di fossi e saltafossi
sugli impervi percorsi della luna
- a tratti a bòtte -

E delle rare volte
che t'imbrigliava un dressage
- tu così timida,
la tua danza sulla luna -

e credevi di non esser vista
- imbrigliata elegante distratta.


ANGIOLETTA DEL CONVITTO


Mi s'aggricciano
ancora i carni

- questa pelle bianca finissima -

queste mani
lavate e rilavate
cento volte al giorno

mi s'aggricciano i carni
"l'Opera è piena di sentimento"
maschia Gioconda
oh soavissima

(mica i ballarini d'oggi
chiddi saltimbanchi
nani televisivi)

soavissima stilla
come un licor d'uliva

mi s'aggriccian
di terrore
i carni
per quei due occhi
due olive nere
e i ricciolotti biondi

- come i tuoi -

il volto fra le mani
della direttrice,
angioletta del convitto
parlez-vous français?

- dura la punizione -

Calmati cara, calmati piccina...
(Qual è il soggetto?)

Dalla mattina alla sera
giocava a pallone
chidda bella faccia
angioletto di cui si perde' lo stampo
gelido
due cocci d'alive
la difterite se lo portò...

Mai mai si vide
gola più bianca
singultare afona
ingollare i gridolini del mattino
dalla mattina alla sera
mi s'aggricciano ancora i carni,
angioletta del convitto
squartata di stupore
(Qual è il soggetto?)

I ballarini scosciati e fluorescenti
coprono la memoria
di quei bambini
sopraffatti dal terrore

e le vestine chiare
mantengono le pieghe
di fresca stiratura,
- a un cuor di fede pieno -

E pien d'amore
tremola il racconto
di quei bambini
di cui si perde' lo stampo,
ch'è fatica articolare
con mezza dentiera,
ancora annienta
lo sguardo strabico
ai vecchi figli
fra madre e televisione
- ond'io ancor mi confondo -

Ma quegli occhi pescini
quel licor grigio
ma la bontà che in lei - (Qual è il soggetto?) -
tutti confonde
e dà vaghezza enorme
di volgersi a costei
- squartata da parti e da partenze -

E allora dice il Signor Utero:
" Non la pudica rosa
che il volto a lei colora,
nè il labbro ove s'infiora
la vergine parola
che dal cuore parte
e vola armoniosa.
Né la gepière che gode
ne la danza festiva
in cui tutta giuliva s'abbandona
ma la bontà che in lei - (Qual è il soggetto?) -
splende modesta e cara
tanto quant'è più rara
in bella forma ".

(Oh licor grigio...)


" Agli occhi che non sanno trovar
un bene altrove
della sua luce piove
soavissima stilla
come un licor d'uliva
un fioco lume "

(Oh fioca voce...)


" O stella o prima gemma
delle cose create
m'odi... e porgi benigno... e frena...
a un cuor di fede pieno
e pien d'amore ".


Ahi prolassa!
copula di memoria
angioletta squartata.


NATALE


Mi metto in pancia l'angelo custode
e te lo partorisco spintonandolo
al termine - e da dietro -, podalico.
Senza pudore oltrepassa il valico.

No, saliscende, rigurgito acido,
come un pulcino costretto nell'uovo
spacca col becco il mio guscio di voce
tutto bagnato, affamato e feroce.

Mi premo il petto e rintuzzo una goccia
amara d'inchiostro color plumbaco;
fa l'occhio pio mentre succhia il colostro

dell'amore che l'assangua come laco
negro di mucillagini: bisboccia
in gloria l'angelo strabo, l'ex mostro.

RINATA

Non perdere le età, viverle tutte
contemporaneamente, è una libera
(a)zione verso il movimento, è l'indecen-
za della perfezione, chiudere il cerchio

intorno a una me stessa divertita
in uh! di bocca tonda e sbatticiglia.
Nell'hula-hoop ballonzola la ciccia!
Io ti ringrazio per avermi nata

una monade sconnessa, sciamannana,
una neo-neofemminista espatriata,
sesso regolarmente e dieta giusta
e scriver più non risciacqua le budella!

(Farsi madre di sé vale la pena
per intonarsi questa cantilena?)


RINATA (II)


Ma non una neometrica, mi spiace!
Una abbigliata di luce non sua,
una che conta solo perché è fessa
fin dentro l'anima, dove riflessa

stroieggia strofettando e strafottendo
con urla di zip e di chiusura a strappo
di forme patriarchiste! Chista guagliuna
o femmenella bacata da un millennio

che la riassorbe, autoimmune, al suo buio
interno, pipando col fesso di turno:
come sempre viagra eppur potente.

Ultrasmagata mi getto oltreoceanina
nell'orecchiocchio delle bocche vicine.
Tanto comunque nessuno ci caga.


RIMASUGLIO

alla vecchia madre

Mi ammazzo per legittima difesa,
per non saper né leggere né scrivere,
evidenziando la mia parte lesa.

Il tuo volermi riassorbire mi pesa
come un tuorlo fosforescente che lega
il cordone attorcigliato che mi soffoca.

Mi tocca di chiamarti dracula, strega,
devo, - che squallore -, quando l'ora scocca
di spegner nei tuoi occhi mezzanotte
per impedirti di tapparmi la bocca.

Mi fai sentire una mezzasega
quando fai l'indemoniato di Gerasa:
ti domo a stento, alzami, cammina,
clicca beella doolce e caara mammina.


MENTRE M'INTIMI: "NON LASCIARMI!"

al papà
Non ti ho mai visto in faccia eppure
vagheggio che mi picchi a sangue,
flessa la schiena pargoletta m'inculi,
così mi riconforti e mi consoli.

Il potere delle parole:
è quello che mi manda in bestia,
il gòdere come intrattenimento
del fiato corto che singulta sillabe.

Sorrise parolette brevi
sono solo un patetico richiamo:
giudica tu se te la senti o meno.

Restituiscimi il maltolto,
onnipotente mano che carezza:
un frontino, una zuppa, una certezza.

POESIE SONETTESSA


C'è da morir dal ridere a pensarci!
Si suppone che il metro e l'imago
tramite cui, lettor, t'accerchio e tramo,
stringi stringi derivino entrambi da Saffo.

Si subodora che la sublime imago,
casta fragmenta di letitia subreta
nell'agonico nostro melode sanremo,
fosse invenzione di Saffo di Lesbo!

Proprio la vista chiara et dolce et fresca
che coglie i fiori ridente e se ne frega,
mentre si dà di cipria e intreccia ghirlande:

lustro d'affetto si commuove il glande.
Sorrido smorfiosa rendendomi conto:
nacque così di certo il gusto della sega.

Questo per quanto lo riguarda,
ma che riguardi anche noi altre
non ci credo nemmeno morta.
L'invidia ha sbarrato la porta.

Se non ci si fosse messo di mezzo
il tormentone dell'amor cortese
forse saremmo salve da un pezzo.

Polpe colpevoli di tornire grazie
forse non subirebbero più offese.

Il gobbo del malaugurio aveva torto:
lei era proprio bella.
Guarda la kylix attica su sfondo bianco,
guarda come sorride,
padrona dei suoi mezzi,
raccolta e sicura, ricurva e intenta.

Dopamina, dopamina partenìa!

Un modus vivendi amètor in esilio
dalle bimbe che fummo
smagate e malmenate.

Dopamina, dopamina partenìa!

Un telefono azzurro per chiamarci nate:
insegnava a prepararsi la pietanza
da sé convinte alla buona creanza.

Dopamina, dopamina partenìa!

Di lei ricordo l'odore acre e melenso.
Le teneva arrovellate nel cavo di una mano
a maturare. Impazzo se ci penso.

Gongola Gongula sculettando mentre la invischia
la lingua di sua dotta mammola brontola.
Scrivevano e godevano sui prati stravaccate,
ella propriocettiva non temendo doppi si mischia.

Impara l'arte e mettila da parte,
Gaspara magna, Isabella, Bella d'Asia,
capestro ghirlandetta al collo di Rosaria,
morte di consunzione, di astenia o di parto.

Godevano e scrivevano toccandosi le tette:
la tremarella alle ginocchia prima dell'esame,
mi ricorda noi ragazze del Settantasette,
Fiori rosa fiori di pesco in coro cantavamo,

e fumavamo di nascosto nel bagno.
Marta mia addio, sottovoce, cantavamo
Non è Francesca, cantavamo sommesse.
Volevamo tutte diventare poetesse.

A braccetto sui lungarni
come beatrici prefiche,

portavamo le polacchine
e levavamo ambo le fiche.

Il fatto è che della sublimazione,
allora come allora e forse sempre,
Saffo cantando se ne faceva un baffo:

e per ogni epitalamio scritto ad un’amica
si sbafava contenta fra i fiori e le ortiche
glucupikra priapa paprika fica.




ROSARIA LO RUSSO, è nata nel 1964 a Firenze, dove vive, è poetessa; traduttrice; saggista; lettrice-performer; attrice; insegnante di lettura di poesia da alta voce, si occupa di poesia e di teatro e dei rapporti fra le due arti, di drammaturgia, letteratura teatrale e letteratura comparata moderne e contemporanee. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: L'estro (1987), Vrusciamundo (1994), Sanfredianina, in Poesia contemporanea. Quinto quaderno italianoComedia (1998), Dimenticamiti Musa a me stessa (1999), Melologhi (2001), PenelopeLo Dittatore Amore (2004). (1996), (2003),

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