Amelia Rosselli: I fiori vengono in dono e altre poesie

I FIORI VENGONO IN DONO I fiori vengono in dono e poi si dilatano una sorveglianza acuta li silenzia non stancarsi mai dei don...






I FIORI VENGONO IN DONO

I fiori vengono in dono e poi si dilatano
una sorveglianza acuta li silenzia
non stancarsi mai dei doni.

Il mondo è un dente strappato
non chiedetemi perché
io oggi abbia tanti anni
la pioggia è sterile.

Puntando ai semi distrutti
eri l'unione appassita che cercavo
rubare il cuore d'un altro per poi servirsene.

La speranza è un danno forse definitivo
le monete risuonano crude nel marmo
della mano.

Convincevo il mostro ad appartarsi
nelle stanze pulite d'un albergo immaginario
v'erano nei boschi piccole vipere imbalsamate.

Mi truccai a prete della poesia
ma ero morta alla vita
le viscere che si perdono
in un tafferuglio
ne muori spazzato via dalla scienza.

Il mondo è sottile e piano:
pochi elefanti vi girano, ottusi.

C'è come un dolore nella stanza, ed
è superato in parte: ma vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita.

C'è come un rosso nell'albero, ma è
l'arancione della base della lampada
comprata in luoghi che non voglio ricordare
perché anch'essi pesano.

Come nulla posso sapere della tua fame
precise nel volere
sono le stilizzate fontane
può ben situarsi un rovescio d'un destino
di uomini separati per obliquo rumore.


E SEI PRONTA ORA


E sei pronta ora per l'esperienza?
Disposta ad affrontare la lotta? Puoi
ammettere d'aver menato colpi alla cieca, portando
fuoco al cuore, la rovina e
la corruzione?

Non so rispondere a questa corruzione. lo
non so ficcarci il mio pugno con una lanterna
a due luci, nella sua marmellata. Mi sono solo
arrestata di colpo, con foglie
viola che m'avvizziscono attorno.

Non amo le viole, non sono uno spaventato
corvo; sono proprio vicina alla morte, al suo tenero
abbraccio. Non ho chiavi addosso, il mio
cuore è siffatto di morbidezze che non sa
improvvisare motivi o decantare concorsi
o qualificare una lite.

Non sono il campione del mio cuore, sono la sua
guida e la sua caduta - la sua miseria mai si
consuma, che tu non pianga e cada.


NEL LETARGO CHE SEGUIVA


Nel letargo che seguiva l'ingranaggio dei
pochi, io giacevo, felice e disordinata, disordinata
all'estremo; e le lingue dei serpi s'avventavano
come fuoco vicino al capezzale.
Vicino al capezzale moriva un drago, salumiere con i suoi salumi, le
sue code che pendevano molto puzzolenti, ma delicate
nel loro odorare insieme.

E se l’antigone vegliava silenziosa, molto silenziosa
ai miei poderi i miei prodotti disordinati, disadorni
di gloria, se essa fosse venuta col suo gradito grido
d'allarme, io morivo, molto silenziosa allarme.


AFFASCINATA DALLA PRATICITÀ


Affascinata dalla praticità osservai un
uomo usuale senza curve portare lievemente un materasso
rosa sulle spalle, mentre ridendo come pulcinella ricordavo
che v'eri. E non finì male la serata, se non che tu esistevi
oltre ogni riflessione, e fuori d'ogni previsione. Tornata
a casa dopo tante e tante insegne luminose v'eri ancora
e ancora e ancora. Ancorata a te la tua immagine in me
non si disfa, tu la proteggi: I'immagine che disfaceva
giornate e giornate e giornate ritornava con te, senza di
te per te nella solitudine di questa primavera che gal-
leggia in pieno inverno, la mia anima!


PER UNA IMPOSSIBILE GAGLIARDA ESPERIENZA


Per una impossibile gagliarda esperienza
rompevamo isolamenti faticosamente, ma
i carri che ci portavano come frutta al
mercato erano lugubri automobili bianche
se nevicava, infernali nella pioggia. Corrompendo
guardie e guardie la mente si decise per
un sopralluogo faticoso perché ingannava
anche se stessa: la festa fu un incontro
tra diavoli alla moda, ogn'amore fuggì
quando tu slacciasti la finestra del tuo
potere avvelenato alle braccia del mio
incanto versione povera dell'invidia, ma
lo spirito vinceva ancora con decisioni
povere prese in cantina.
Dopo miserie e
nascoste disperazioni la Domenica fu un
perdono e una disperazione, il mare in
moto soffocò querele dello spirito mentre
ingranaggi portarono sollievo e la colpa
fu la colpa accettata se disperazioni sono
moto alla felicità.


SETTANTA PEZZENTI E UNA CAMICIA


Settanta pezzenti e una camicia che si rompeva
nel nulla, per un capriccio io mi stendevo nel
nulla e tutto era alloro e beneficenza, benefatto
il re dei poveri, cammello che strisci. Una pioggia
dura, sottile, penetrava, per un bisogno d'assistenza
io penetravo in camere arredate ad una vera vita
che con le maiuscole si scostava dalla mia, gentilmente
servizievoli erano i condannati a morte. Inviti
strisciavano per i cardini piovosi d'una città
permeabile: nessuna bestia nascosta spolverava
le capre che marciavano estasiate per i monti della
Trinità: un cammello, due indiani e la gente maestra
di tutte le arti, musica e matematica, il furore
di sogni realizzabili. Perduta nella vasca d'ombre
le ragnatele bianche e la polvere per le ciglia,
granelli e piccole perle sotto una pioggia miserissima
decidevano per il meglio una vita chiusa.


NELL'ANTICA CINA VI ERANO FIORI D'ANDALUSA

Nell'antica Cina vi erano fiori d'andalusa. Tu non fischi
per me. Il ramo storto della tua vigliaccheria non era che
la bellezza! nel mare liscio e pettinato in un nodoso cranio.
La scultura del tuo amore era un ritornello, sapiente virgola
del maestro che sa sparire dalla tavola sparecchiata.

Il Giappone crudele e distante è la tua patria.
Il Giappone nodoso ed inestricabile è il viaggio che mi
procurerò con la tua assenza.

Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora
tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo
è vero se è vero che tua cammini ancora, tutto il
mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo
è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo
una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi
dalla tua nascita e l'importanza del nuovo giorno
non è che notte per la tua distanza. Cieca sono
chè tu cammini ancora! cieca sono che tu cammini
e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini
ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.







AMELIA ROSSELLI, poetessa italiana. Nacque a Parigi il 28 marzo 1930, figlia dell'esule antifascista Carlo Rosselli, teorico del Socialismo Liberale, e di Marion Cave, un'attivista del partito laburista di fede quacchera. Nel 1940, dopo l’assassinio del padre e dello zio ad opera delle milizie fasciste in Francia (1937), esiliò con la famiglia, esperienza che determinò il carattere apolide ed insieme personalistico della sua opera. Morì suicida a Roma il 11 febbraio 1996. Ha pubblicato: Variazioni bellich (1964); Serie ospedaliera (1969); Documento (1976); Primi scritti 1952-63 (1980); Impromptu (1981); Appunti sparsi e persi 1966-1977 (1983); La libellula (1985); Antologia poetica (1987); Sleep. Poesie in inglese (1992); Le poesie, postumo a cura di E. Tondelli, (2007)

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