Jorge Luis Borges | Dieci Poesie

IL SOGNO Quando gli orologi della mezzanotte elargiranno un tempo generoso, andrò più lontano dei rematori di Ulisse nel...





IL SOGNO

Quando gli orologi della mezzanotte elargiranno
un tempo generoso,
andrò più lontano dei rematori di Ulisse
nella regione del sogno, inaccessibile
alla memoria umana.
Da quella regione sommersa recupero residui
che ancora non comprendo;
erbe di botanica elementare,
animali un po’ diversi,
dialoghi coi morti,
volti che in realtà sono maschere,
parole di lingue molto antiche
e talora un orrore non comparabile
a quello che può darci il giorno.
Sarò tutti o nessuno. Sarò l’altro
che ignoro d’essere, colui che ha contemplato
quell’altro sogno, la mia veglia. La giudica,
rassegnato e sorridente.


EL SUEÑO

Cuando los relojes de la media noche prodiguen
un tiempo generoso,
iré más lejos que los bogavantes de Ulises
a la región del sueño, inaccesible
a la memoria humana.
De esa región inmersa rescato restos
que no acabo de comprender;
hierbas de sencilla botánica,
animales algo diversos,
diálogos con los muertos,
rostros que realmente son máscaras,
palabras de lenguajes muy antiguos
y a veces un horror incomparable
al que nos puede dar el día.
Seré todos o nadie. Seré el otro
que sin saberlo soy, el que ha mirado
ese otro sueño, mi vigilia. La jurga,
resignado y sonriente.



COSMOGONIA

Né tenebra né caos. Esige occhi
che vedano, la tenebra; così
suono e silenzio esigono l’udito,
e lo specchio, la forma che lo popola.
Né lo spazio né il tempo. E neppure
una divinità che concepisce
il silenzio anteriore all’iniziale
notte del tempo, che sarà infinita.
Il gran fiume di Eraclito l’Oscuro
non ha intrapreso il corso irrevocabile
che dal passato va verso il futuro,
che dall’oblio va verso l’oblio.
Qualcosa che già soffre. Che già implora.
Dopo, la storia universale. Ora.

COSMOGONÍA

Ni tiniebla ni caos. La tiniebla
requiere ojos que ven, como el sonido
y el silencio requieren el oído,
y el espejo, la forma que lo puebla.
Ni el espacio ni el tiempo. Ni siquiera
una divinidad que premedita
el silencio anterior a la primera
noche del tiempo, que será infinita.
El gran rio de Heráclito el Oscuro
su irrevocable curso no ha emprendido,
que del pasado fluye hacia el futuro,
que del olvido fluye hacia el olvido.
Algo que ya padece. Algo que implora.
Después la historia universal. Ahora.


IL GUARDIANO DEI LIBRI

Là sono i giardini, i templi e la giustificazione dei templi,
la retta musica e le rette parole,
i sessantaquattro esagrammi,
i riti che son l’unica sapienza
che agli uomini concede il Firmamento,
la dignità di quell’imperatore
la cui serenità venne riflessa dal mondo, specchio suo,
così che i campi davano i loro frutti
e i torrenti rispettavano le sponde,
l’unicorno ferito che ritorna per indicare la fine,
le segrete leggi eterne,
il concerto dell’orbe;
tali cose o la loro memoria sono nei libri 
che custodisco nella torre.

I tartari vennero dal Nord su piccoli criniti puledri;
annientarono gli eserciti
che il Figlio del Cielo aveva inviati per punire la loro empietà,
eressero piramidi di fuoco e tagliarono gole,
uccisero il malvagio con il giusto,
uccisero lo schiavo incatenato che vigila la porta,
conobbero le donne, le scordarono
e andarono oltre, al Sud,
innocenti come animali da preda,
crudeli come coltelli.
Nell’alba dubitosa
il padre di mio padre salvò i libri.
Sono qui nella torre dove giaccio
e ricordano i giorni stati d’altri,
gli stranieri, gli antichi.

Mancano i giorni ai miei occhi.
I palchetti son alti, non ci arrivano i miei anni.
Leghe di polvere e sonno cingono la torre.
A che ingannarmi?
La verità è che non seppi mai leggere,
ma mi consolo pensando
che immaginato e passato sono tutt’uno
per un uomo che è stato
e contempla quel che fu la città
e toma ora ad essere deserto.

Che cosa m’impedisce di sognare
che decifrai un tempo la sapienza
e tracciai con attenta mano i simboli?
Il mio nome è Hsiang. Sono il custode dei libri,
che sono forse gli ultimi
giacché nulla sappiamo dell’Impero
e del Figlio del Cielo.
Sono là nei loro alti palchetti,
remoti e prossimi a un tempo,
visibili e segreti come gli astri.
Là sono i templi, là sono i giardini.


EL GUARDIÁN DE LOS LIBROS

Ahí están los jardines, los templos, y la justificación de los templos, 
la recta música y las rectas palabras, 
los sesenta y cuatro hexagramas, 
los ritos que son la única sabiduría 
que otorga el Firmamento a los hombres, 
el decoro de aquel emperador 
cuya serenidad fue reflejada por el mundo, su espejo, 
de suerte que los campos daban sus frutos 
y los torrentes respetaban sus márgenes, 
el unicornio herido que regresa para marcar su fin, 
las secretas leyes eternas, 
el concierto de orbe; 
esas cosas o su memoria están en los libros 
que custodio en la torre. 

Los tártaros vinieron del Norte 
en crinados potros pequeños; 
aniquilaron los ejércitos 
que el Hijo del Cielo mandó para castigar su impiedad, 
erigieron pirámides de fugo y cortaron gargantas, 
mataron al perverso y al justo, 
mataron al esclavo encadenado que vigila la puerta, 
usaron y olvidaron a las mujeres 
y siguieron al Sur, 
inocentes como animales de presa, 
crueles como cuchillos. 
En el alba dudosa 
el padre de mi padre salvó los libros. 
Aquí están en la torre donde yazgo, 
recordando los días que fueron de otros, 
los ajenos y antiguos. 

En mis ojos no hay días. Los anaqueles 
están muy altos y no los alcanzan mis años. 
Leguas de polvo y sueño cercan la torre. 
¿A qué engañarme? 
La verdad es que nunca he sabido leer, 
pero me consuelo pensando 
que lo imaginado y lo pasado ya son lo mismo 
para un hombre que ha sido 
y que contempla lo que fue la ciudad 
y ahora vuelve a ser el desierto. 
¿Qué me impide soñar que alguna vez 
descifré la sabiduría 
y dibujé con aplicada mano los símbolos? 
Mi nombre es Hsiang. Soy el que custodia los libros, 
que acaso son los últimos, 
porque nada sabemos del Imperio 
y del Hijo del Cielo. 
Ahí están en los altos anaqueles, 
cercanos y lejanos a un tiempo, 
secretos y visibles como los astros. 
Ahí están los jardines, los templos.


IL GIARDINO BOTANICO 

Remotissimi da noi,
anche se ne tocchiamo i tronchi,
gli alberi che balbettano appena resistenza
sciolgono verso l’ignoto
il loro sfolgorio di foglie cieche
che in pietosa finzione si abbracciano in alto
come piegate dalla curva celeste.
In estrema solitudine
ogni albero è penosamente smarrito
e le loro vite sono isolate e scontrose
come specchi che riflettono camere distinte
o come il sognare di molti dormienti
sotto un unico tetto.
Noi pure, intanto,
ai confini della loro rudimentale esistenza,
oscuramente ci cerchiamo
con questa carne lacera e ineguale:
grossolano segreto risaputo
che con triste sconforto ci travolge
e ci scava il petto
con la potente forza di una pena.
Angoscia
che è solo un’eco confusa
del desiderio e del doloroso entusiasmo
che Dio sentì prima della genesi
e che non ha trovato appagamento
nell’infinita profusione di stelle, anime, voci e tramonti
che il tempo garrulo proclama
e lo spazio abbraccia in scienza universale.
(Uscendo ho visto in un tumulto di ragazze
una bambina così graziosa
che il mio sguardo ha subito cercato
l’ipotetica sorella maggiore
che accorciando le prolissità del tempo
già possedesse in pacata e bruna avvenenza
l’abbondante bellezza
che balbettava la più piccola).


EL JARDÍN BOTÁNICO

Muy lejos de nosotros,
aunque nuestras manos toquen los troncos
los árboles que balbucean apenas el ser
sueltan en pos de lo desconocido
su lumbre de hojas ciegas
que en piadosa ficción arriba se abrazan
como dobladas por la curva celeste.
En supremo aislamiento
cada árbol está conmovedoramente perdido
y sus vidas son incomunicadas y hurañas
como espejos que ahondan habitaciones distintas
o como el soñar de muchos durmientes
que reúne idéntico techo.
Nosotros, mientras tanto,
al margen de su rudimental existencia,
también oscuramente nos buscamos
con nuestra carne desgarrada e impar:
burdo secreto a voces
que con triste congoja nos arrastra
y nos socava el pecho
con la grave eficacia de una pena.
Angustia,
que sólo es un eco borroso
del anhelo y del doloroso entusiasmo
que sintió Dios antes del génesis,
y que no ha hallado hartazgo
en la infinita profusión de estrellas, almas, voces y ocasos
que grita el tiempo gárrulo
y abarca en ciencia universal el espacio.
(Al salir vi en un alboroto de niñas
una chicuela tan linda
que mis miradas en seguida buscaron
la conjetural hermana mayor
que abreviando las prolijidades del tiempo
lograse en hermosura quieta y morena
la belleza colmada
que balbuceaba la primera).


LA ROSA
A Judith Machado

La rosa,
l’immarcescibile rosa che non canto,
quella che è peso e fragranza,
quella del buio giardino a notte alta,
quella d’ogni giardino e d’ogni sera,
la rosa che per arte d’alchimia
nasce di nuovo dalla tenue cenere,
la rosa dei persiani e dell’Ariosto,
quella ch’è sempre sola,
quella che è sempre la rosa delle rose,
il giovane fiore platonico,
l’ardente e cieca rosa che non canto,
la rosa irraggiungibile.


LA ROSA 
A Judith Machado

La rosa,
la inmarcesible rosa que no canto,
la que es peso y fragancia,
la del negro jardín en la alta noche,
la de cualquier jardín y cualquier tarde,
la rosa que resurge de la tenue
ceniza por el arte de la alquimia,
la rosa de los persas y de Ariosto,
la que siempre está sola,
la que siempre es la rosa de las rosas,
la joven flor platónica,
la ardiente y ciega rosa que no canto,
la rosa inalcanzable.


ASSENZA 

Dovrò di nuovo erigere la vasta vita,
specchio di te ancora:
dovrò ricostruirla ogni mattina.
Ora che non ci sei, 
quanti luoghi son diventati vani
e senza senso, uguali
a lampade di giorno.
Sere che ti hanno accolto come nicchie,
musiche dove trovavo te ad attendermi,  
parole di quel tempo,
dovrò distruggervi con queste mani.
In quale baratro potrò celare l’anima
perché non veda la tua assenza,
fulgida come  un sole orribile
che non tramonta mai, spietata, eterna?
La tua assenza mi sta attorno
come la corda al collo, 
come il mare a chi affoga.


AUSENCIA 

Habré de levantar la vasta vida
que aún ahora es tu espejo:
cada mañana habré de reconstruirla.
Desde que te alejaste,
cuántos lugares se han tornado vanos
y sin sentido, iguales
a luces en el día.
Tardes que fueron nicho de tu imagen,
músicas en que siempre me aguardabas,
palabras de aquel tiempo,
yo tendré que quebrarlas con mis manos.
En qué hondonada esconderé mi alma
para que no vea tu ausencia
que como un sol terrible, sin ocaso,
brilla definitiva y despiadada?
Tu ausencia me rodea
como la cuerda a la garganta,
el mar al que se hunde.


AMOROSO AUSPICIO 

Né l’intima grazia della tua fonte luminosa come una festa
né il favore del tuo corpo, tuttora arcano e tàcito e fanciullesco,
né l’alternarsi delle tue vicende in parole o in silenzi
saranno offerta cosí misteriosa
come rimirare il tuo sonno coinvolto
nella veglia delle mie braccia.
Di nuovo miracolosamente vergine per la virtú assolutoria del sonno,
serena e splendente come fausto ricordo trascelto,
mi offrirai quella sponda della tua vita che tu stessa non possiedi.
Proiettato nella quiete,
scorgerò quella riva estrema del tuo essere
e ti vedrò forse per la prima volta
quale Iddio deve ravvisarti,
annullata la finzione del Tempo,
senza l’amore, senza di me.


AMOROSA ANTICIPACIÓN

Ni la intimidad de tu frente clara como una fiesta
ni la costumbre de tu cuerpo, aún misterioso y tácito y de niña,
ni la sucesión de tu vida asumiendo palabras o silencios
serán favor tan misterioso
como mirar tu sueño implicado
en la vigilia de mis brazos.
Virgen milagrosamente otra vez por la virtud absolutoria del sueño,
quieta y resplandeciente como una dicha que la memoria elige,
me darás esa orilla de tu vida que tú misma no tienes.
Arrojado a quietud,
divisaré esa playa última de tu ser
y te veré por vez primera, quizá,
como Dios ha de verte,
desbaratada la ficción del Tiempo,
sin el amor, sin mí.


DIMENTICANDO UN SOGNO
a Viviana Aguilar

Nell’alba dubitante ho avuto un sogno.
So che nel sogno c’erano più porte.
Il resto l’ho perduto. Il mio risveglio
ha fatto svanire stamattina
quella favola intima che adesso
è più inafferrabile dell’ombra
di Tiresia o di Ur dei Caldei
o dei corollari di Spinoza.
Ho passato la vita decifrando
i dogmi che avventurano i filosofi.
È noto che in Irlanda un uomo disse
che l’attenzione di Dio, che mai dorme,
raccoglie eternamente ogni sogno
ogni vuoto giardino ed ogni lacrima.
Continua il dubbio e la penombra cresce.
Se sapessi che è stato di quel sogno
che sognai, o che sogno aver sognato,
saprei tutte le cose.



AL OLVIDAR UN SUEÑO
a Viviana Aguilar


En el alba dudosa tuve un sueño.
Sé que en el sueño había muchas puertas.
Lo demás lo he perdido. La vigilia
ha dejado caer esta mañana
esa fábula íntima, que ahora
no es menos inasible que la sombra
de Tiresias o que Ur de los Caldeos
o que los corolarios de Spinoza.
Me he pasado la vida deletreando
los dogmas que aventuran los filósofos.
Es fama que en Irlanda un hombre dijo
que la atención de Dios, que nunca duerme,
percibe eternamente cada sueño
y cada jardín solo y cada lágrima.
Sigue la duda y la penumbra crece.
Si supiera qué ha sido de aquel sueño
que he soñado, o que sueño haber soñado,
sabría todas las cosas.


IL COMPLICE 

Mi crocifiggono e io devo essere la croce e i chiodi.
Mi tendono il calice e io devo essere la cicuta.
Mi ingannano e io devo essere la menzogna.
Mi bruciano e io devo essere l’inferno.
Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo.
Il mio nutrimento sono tutte le cose.
Il peso preciso dell’universo, l’umiliazione, il giubilo.
Devo giustificare ciò che mi ferisce.
Non importa la mia fortuna o la mia sventura.
Sono il poeta.


EL CÓMPLICE

Me crucifican y yo debo ser la cruz y los clavos.
Me tienden la copa y yo debo ser la cicuta.
Me engañan y yo debo ser la mentira.
Me incendian y yo debo ser el infierno.
Debo alabar y agradecer cada instante del tiempo.
Mi alimento es todas las cosas.
El peso preciso del universo, la humillación, el júbilo.
Debo justificar lo que me hiere.
No importa mi ventura o mi desventura.
Soy el poeta.


LA FELICITÀ 


Chi abbraccia una donna è Adamo. La donna è Eva.
Tutto accade per la prima volta.
Ho visto una cosa bianca in cielo. Mi dicono che è la luna, ma
Che posso fare con una parola e con una mitologia?
Gli alberi mi fanno un poco paura. Sono così belli.
I tranquilli animali si avvicinano perché io gli dica il loro nome.
I libri della biblioteca sono senza lettere. Se li apro appaiono.
Sfogliando l’atlante progetto la forma di Sumatra.
Chi accende un fiammifero al buio sta inventando il fuoco.
Nello specchio c’è un altro che spia.
Chi guarda il mare vede l’Inghilterra.
Chi pronuncia un verso di Liliencron partecipa alla battaglia.
Ho sognato Cartagine e le legioni che desolarono Cartagine.
Ho sognato la spada e la bilancia.
Sia lodato l’amore in cui non ci sono né possessore né posseduta, ma entrambi si donano.
Sia lodato l’incubo che ci rivela che possiamo creare l’inferno.
Chi si bagna in un fiume si bagna nel Gange.
Chi guarda una clessidra vede la dissoluzione di un impero.
Chi maneggia un pugnale prevede la morte di Cesare.
Chi dorme è tutti gli uomini.
Ho visto nel deserto la giovane Sfinge appena scolpita.
Non c’è nulla di antico sotto il sole.
Tutto accade per la prima volta, ma in un modo eterno.
Chi legge le mie parole sta inventandole.


LA DICHA

El que abraza a una mujer es Adán. La mujer es Eva.
Todo sucede por primera vez.
He visto una cosa blanca en el cielo. Me dicen que es la luna, pero
[qué puedo hacer con una palabra y con una mitología.
Los árboles me dan un poco de miedo. Son tan hermosos.
Los tranquilos animales se acercan para que yo les diga su nombre.
Los libros de la biblioteca no tienen letras. Cuando los abro surgen.
Al hojear el atlas proyecto la forma de Sumatra.
El que prende un fósforo en el oscuro está inventando el fuego.
En el espejo hay otro que acecha.
El que mira el mar ve a Inglaterra.
El que profiere un verso de Liliencron ha entrado en la batalla.
He soñado a Cartago y a las legiones que desolaron a Cartago.
He soñado la espada y la balanza.
Loado sea el amor en el que no hay poseedor ni poseída, pero los dos se entregan.
Loada sea la pesadilla, que nos revela que podemos crear el infierno.
El que desciende a un río desciende al Ganges.
El que mira un reloj de arena ve la disolución de un imperio.
El que juega con un puñal presagia la muerte de César.
El que duerme es todos los hombres.
En el desierto vi la joven Esfinge, que acaban de labrar.
Nada hay tan antiguo bajo el sol.
Todo sucede por primera vez, pero de un modo eterno.
El que lee mis palabras está inventándolas.



Traduzione di: Tommaso Scarano |  Umberto Cianciòlo  |  Domenico Porzio


JORGE FRANCISCO ISIDORO LUIS BORGES ACEVEDO; nacque prematuro (all'ottavo mese di gravidanza) nella stessa casa di via Tucumán 840 a Buenos Aires, il 24 agosto 1899. È stato uno scrittore, poeta, saggista, traduttore, filosofo e accademico argentino. Le opere di Borges hanno contribuito alla letteratura filosofica e al genere fantastico. È ritenuto uno dei più importanti e influenti scrittori del XX secolo. Morì il 14 giugno 1986, a 86 anni, nella città di Ginevra (Svizzera), dove periodicamente si recava per curarsi agli occhi, in seguito a un cancro al fegato. Come da lui disposto, i suoi resti riposano al cimitero di Plainpalais (nella parte sud di Ginevra) sotto una lapide grezza di color bianco.RACCOLTE POETICHE: Fervore di Buenos Aires (Fervor de Buenos Aires, 1923), a cura di Domenico Porzio e Hado Lyria, in J.L.Borges, Tutte le opere, vol. primo, Mondadori 1984; a cura di Tommaso Scarano, Adelphi, 2010; Luna di fronte (Luna de enfrente, 1925), a cura di Domenico Porzio e Hado Lyria, in J.L.Borges, Tutte le opere, vol. primo, Mondadori 1984; Quaderno San Martín (Cuaderno de San Martín, 1929) a cura di Domenico Porzio e Hado Lyria, in J.L.Borges, Tutte le opere, vol. primo, Mondadori 1984; L'artefice (El hacedor, 1960), trad. di F. Tentori Montalto, Rizzoli, I ed. 1963; a cura di Tommaso Scarano, Collana Biblioteca n.382, Adelphi, Milano, 1999; L'altro, lo stesso (El otro, el mismo, 1964), trad. di F. Tentori Montalto, in J.L.Borges, Tutte le opere, vol. secondo, Mondadori 1985; a cura di Tommaso Scarano, Adelphi, Milano, 2002; Carme presunto e altre poesie (Poemas, 1923-1958), testo originale a fronte, introd. e trad. di Ugo Cianciòlo, Einaudi, Torino, I ed. 1969; Collezione di Poesia n.121, Einaudi, Torino, 1975; Elogio dell'Ombra (Elogio de la sombra, 1969), trad. di Francesco Tentori Montalto, Einaudi, Torino, 1971; L'oro delle tigri. Poesie (El oro de los tigres, 1972), testo spagnolo a fronte, traduzione di Juan Rodolf Wilcock e Livio Bacchi Wilcock, Rizzoli, Milano, I ed. agosto 1974; a cura di Tommaso Scarano, Collana Biblioteca n.465, Adelphi, Milano, 2004; La rosa profonda (La rosa profunda, 1975), testo spagnolo a fronte, a cura di Tommaso Scarano, Collana Piccola Biblioteca n.652, Adelphi, Milano, I ed. 2013; a cura di Domenico Porzio e Hado Lyria, in J.L.Borges, Tutte le opere, vol. secondo, Mondadori 1985; La moneta di ferro (La moneda de hierro, 1976), a cura di Cesco Vian, Collana La Scala: il catalogo, Rizzoli, I ed. marzo 1981; testo orig. a fronte, a cura di Tommaso Scarano, Collana Piccola Biblioteca n.578, Adelphi, Milano, 2008; Storia della notte (Historia de la noche, 1977) in Tutte le opere, I Meridiani Collezione, Milano, Mondadori, 2005; La cifra (1981), a cura di Domenico Porzio, Collana I poeti dello Specchio, Mondadori, Milano, I ed. 1982; I congiurati (Los conjurados, 1985), a cura di Domenico Porzio e Hado Lyria, Mondadori 1986.

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