Corrado Govoni | Poesie
Da: Fuochi d'artifizio (1905) STUDIO DI NUDO Grigio uniforme della mia vita! Pare un qualche povero salone provinciale rischiarato da...
Da: Fuochi d'artifizio (1905)
STUDIO DI NUDO
Grigio uniforme della mia vita! Pare
un qualche povero salone provinciale
rischiarato da un troppo grande focolare,
in un triste crepuscolo domenicale.
Chi scalda quella fiamma stanca di bruciare
di nascosto? Che vuoto! Solo un canterale
con uno stipo in cui si sente rosicchiare
un tarlo, e sotto un vetro un mazzo artificiale.
Una gottosa pendola del settecento
trascina la pesante ruota del mulino
del tempo come un mulo ansante, a la parete.
Le ombre giuocano ai dadi sopra il pavimento,
ed un pattuisce coi sicari nel giardino
la vendita del giorno per poche monete.
DOPO L'INEVITABILE
Le donne tacciono. E la loro angoscia
intorno ad esse impregna tutta l’aria.
Dopo l’inevitabile! La pioggia scroscia
malinconicamente sulle lastre.
Il fondo della stanza è di tinte verdastre.
Ognissanti! Ogni cosa à la stess’aria.
È già sera. E su le sorelle bionde
il sentore de l’infelicità
si accentua. Il lutto della veste le soffonde
di pace; e i loro mesti atteggiamenti
oh come saturi di rinunziamenti!
sembrano quelli della Pietà.
L’Addolorata siede. E la mitezza
delle sue mani sopra il poveretto
tavolo temperan la lor rassegnatezza
nell’effluvio dei lunghi tuberosi
che s’ammalan nel candido vasetto.
NELLA CASA PATERNA
Buio. È la sera dell’Ascensione.
Le cugine ànno inaugurato una veste.
Ora la strada s’anima di peste.
Le donne son tornate da benedizione.
Nella cucina, nel paiuolo rattoppato
la polenta solleva delle bolle.
Sul tagliere si tagliano delle cipolle.
Il merlo sta vicino al fuoco: è un po’ malato.
Si apparecchia, e si accende la lumiera.
L’orologio coi suoi rosolacci
segna l’ora di notte tra gli stacci.
L’insalata con l’uova è pronta nell’insalatiera.
Il crepuscolo è d’un lilla soave.
I passerotti si rifugian nel pagliaio.
Le galline tardive corrono al pollaio.
Sbatte una porta. Gira stridendo una chiave.
ECCO LA VITA!
Dove sono gli amici? Vane
parole! E i parenti? e colei
che commise un delitto dandoti la vita? Vane
parole! sì, vana anche lei!
Vana: chè preferibile alla vita
era il nulla, l’esistenza
come quella dell’aria della luce della solitudine infinita
che non conosce alcuna sofferenza.
E la felicità? Ma chi è che dice
quel nome senza significazione?
chi è che può dire d’essere felice
quando la gioia non è che una mistificazione,
la maschera impastata di belletto
che copre la cancrena del dolore,
la puttana che si concede all’avversario sul suo letto
per poi piantargli mentre dorme il suo pugnale dentro il
cuore?
Il bene poichè non è duraturo è un male,
il celo è troppo lungi e troppo vuoto,
noi siamo il niente nel reale
e l’ignoto nel noto.
E se pure il dolore è una sciocchezza
più non esiste unica verità
unica via di salvezza
che la morte col manto dell’eternità…
IN CAMPAGNA
Per le fessure della finestretta
s’inserisce una luce scialba scialba.
Il campanile di Saletta
è il primo a suonare l’alba.
Le faraone ed i galli
schiammazzano dentro il pollaio.
Nitriscon nella corte dei cavalli.
Il vento scuote l’uscio del granaio.
Le rondini non ànno ancor parlato
nei loro nidi sopra il forno…
Rabbrividiscono i pioppi del prato.
Chissà se sarà un bel giorno!
La scopa or su e giù per la scala
fruscia ed ora in cucina;
e, al pian terreno, il merlo nella sala
canta indomenicando la mattina.
LE LAGRIME
Lagrime, lagrime, o mie piangevoli sorelle,
perchè mai ve ne siete tutte andate
così improvvisamente come fan le rondinelle
quando arriva la fine dell’estate?
Lagrime, lagrime, e a che dunque mi valse
l’avervi tanto predilette se or siete lontane?
Anche voi eravate dunque false?
Anche voi eravate dunque vane?
O crudeli! Smarriste forse l’orma come le formiche
quando si segna con il dito il loro viaggio
ed esse tornan desolate per le strade antiche
col loro viatico senza tentar altro passaggio?
O vi esauriste a forza di versare giorno e notte
la vostra placida ed anodina pietà
come Danaidi per riempir la botte
senza fondo de la mia infelicità?
Lagrime, lagrime, e voi eravate
le gocce della cera del dolore che si consumava,
eravate le perle liquide sfilzate
dalla collana della vedova illusione che si rassegnava!
Ed ora che voi non ci siete chi è che bagna l’aridezza
spaventevole
della polvere dei miei giorni ardente di rimpianto?
Oh! ditemi: dov’è quell’anima caritatevole
che mi vuol vendere un po’ del suo pianto?
VARIAZIONE IN SILENZIO MINORE
Il gelsomino dentro il variopinto vaso
à già sbocciato il suo bianco firmamento;
sul tavolo scolpito, il satiro d’argento
si stanca della ninfa che sorprese a caso.
La dentiera del piano coperto di raso
ride d’un riso giallo di pervertimento;
un quadro antico sembra che abbia un sentimento
d’innocenza che l’ombra vela del suo taso.
Nella mostra del pendolo una lancia scruta
il costato dell’ora, e n’esce del capecchio.
La noia dentro l’anima i suoi soldi conia.
Il silenzio sguinzaglia la sua destra muta,
e la lampada nella serra dello specchio
apre il suo cuore rosso, come una peonia.
AL REZZO DELLA SERA
Sul limitare dell’infaticabile mulino ad acqua
il mugnaio s’affaccia con la sua pancia stanca;
la ruota giuoca con la sua spuma bianca
che si direbbe una farina d’acqua.
Il cimitero fragra d’una grigia umidità
di ruggine e della soddisfazione delle rose dissetate dalla
pioggia;
tra le zucche adipose, sopra il tetto della loggia
il comignolo fuma la monastica frugalità.
Per le lenticchie del canale gracchiano le povere ranelle.
Come un’erba immediata nella prateria cresce la caligine.
Il celo sembra preso di vertigine
dai circoli continui dei rondoni e delle rondinelle.
Nel cortile, le suore ridono guardando un majalino
che grufola – cruff, cruff – e che si voltola nel fango;
un capinero canta dentro l’orto che finisce ad angolo
a l’ombra dello scroscio del mulino.
CORRADO GOVONI nasce a Tamara, in provincia di Ferrara, nel 1884. Vive per un breve periodo a Milano e poi stabilmente a Roma e muore ad Anzio nel 1965. Appena diciannovenne, esordisce con la raccolta Le fiale (1903). Seguono: Armonia in grigio et in silenzio (1903), Fuochi d’artifizio (1905), Gli aborti (1907), Poesie elettriche (1911), Inaugurazione della primavera (1915), Rarefazioni (1915), Poesie scelte (a cura di A. Neppi, 1918), Tre grani da seminare (1920), Il quaderno dei sogni e delle stelle (1924), La Trombettina (1924), Brindisi alla notte (1924), Il flauto magico (1932), Canzoni a bocca chiusa (1938), Pellegrino d’amore (1941), Govonigiotto (1943), Aladino. Lamento su mio figlio morto (1946), L’Italia odia i poeti (1950), Patria d’alto volo (1953), Preghiera al trifoglio (1953), Antologia poetica (a cura e con prefazione di G. Spagnoletti, 1953), Manoscritto nella bottiglia (con un saggio di G. Ravegnani, 1954), Stradario della primavera e altre poesie (1958), Poesie 1903-1959 (a cura di G. Ravegnani, 1961). È autore di numerosi libri in prosa, racconti, testimonianze, romanzi. Entrato in contatto con Marinetti, si avvicina al futurismo, collaborando ad alcune riviste come “Lacerba”, “La Voce” e “Poesia”, ma ritorna gradualmente alle forme più tradizionali, soprattutto nelle poesie dedicate al figlio, vittima dell’eccidio nazista delle Fosse Ardeatine.