Leonardo Sinisgalli | Poesie Scelte

Da: Cuore (1927) LA NUVOLA Tu divaghi senza meta per dissolverti e morire nube in cielo – ed avanzi sola – lieta di...




Da: Cuore (1927)

LA NUVOLA

Tu divaghi senza meta
per dissolverti e morire
nube in cielo –
ed avanzi sola – lieta
di rivivere e svanire
in un velo

di bei fiori nati in mare –
verdazzurri – trasparenti –
irreali –
Nel silenzio navigare
dietro il mùrmure dei venti –
come d’ali –

verso angoli remoti
d’uno spazio senza fine
è il destino –
Poi cadere per i vuoti
invisibili di trine
nel cammino –

e tornare a navigare
e tornare a naufragare
nel tuo mare. –


UN FIORE

Ha lacerato i cuori
nella sua follìa
la pioggia di primavera –

I fiori dischiusi
al bacio del sole – alla vita –
s’iniziano nel dolore –

Qualcuno è caduto
col sogno – ancora – di vivere –
sogno di luce –

E la sua piccola bara
sono i suoi petali
bianchi ancora –

visini pallidi
di bimbi morti –
senza profumo –

L’hanno riflesso ai cieli
pe’l suo candore
le perle di pioggia primaverile.


Da: Vidi le Muse (1931-1942)

NON SI CONSOLA DI FRONDI

Non si consola di frondi
Questo corpo d’autunno
Che il vento morde. Nel cavo
Delle ossa la terra preme
Per mettere fiore. Prima
Voce (poi chiara un’ala
Che s’apre) la luce è sui rami
Deserta. Aggiorna sui tuoi passi.
Ora l’albero è potato
E il suo legame è più saldo
Alla tua legge.


TUTTE LE COSE SONO QUIETE

In attesa della Tua voce
Che tiene gli astri sono io.
La Tua voce nasce nel vento
E l’alba preme sul petto.
Si rovescia al colore
La foglia, Ti annunzia
E passa a farmi rumore.


AL TEMPO DELLE VIGNE

Al tempo delle vigne
Carica di furore ai nostri occhi
Si scopriva la terra e nelle mani
Ancora al gesto acerbe e serene.
Si torceva alle giunture
Sotto il peso del fiore
La pianta del fico dolente.
Infanzia gridata dagli uccelli
Ti cacciava la sete a gola aperta
A piedi nudi sulle crete
Il passo lesto all’insidia delle serpi.


Da: Campi Elisi (1937-1939)


CAMPI ELISI

Di là dalla dolce provincia dell’Agri
Siete approdati alle rive sognate,
Oscuri morti familiari.
Le vostre salme hanno dato salute
Al verde degli orti.
I campi di fave si sono allargati
Oltre i cancelli:
Dove arse superba l’età delle rose
Le capre pestano la terra
Nei giorni di siccità.


PIAZZALE DI SAN DOMENICO

Torna stasera l’ombra mia
Remota nel fuoco dei falò,
Si accosta lieve con l’ali ai calcagni.
Il fanciullo ha battuto il tamburo
E una vampa m’investe dalla breccia
Delle mura. (Nessuno più
Ti scaccia dal tuo regno
Di selci dissestate che tu smuovi
A una a una le sere
Che il vento si lagna
Lungamente alla luna.)


VIDI LE MUSE

Sulla collina
Io certo vidi le Muse
Appollaiate tra le foglie.
Io vidi allora le Muse
Tra le foglie larghe delle querce
Mangiare ghiande e coccole.
Vidi le Muse su una quercia
Secolare che gracchiavano.
Meravigliato il mio cuore
Chiesi al mio cuore meravigliato
Io dissi al mio cuore la meraviglia.


Da: Il Cacciatore Indifferente (1939-1942)


SPLENDE IL TUO LUME TETRO

Splende il tuo lume tetro
Alle Case Rotte.
La tua veste di fumo
Ti cela dietro i vetri
A questa sera che ventila per te
Sui parapetti l’aria della luna.
Amica immagine morta se m’ami
Tornerai con le fulgide farfalle
A notte estasiate dai lumi.


I VECCHI VERSI TORNANO A MEMORIA

Ecco mi alletta
La storia di una rosa
Che la neve cancella (e un segno
Vivo, la brace della tua sigaretta).
Ecco son persi nel buio
Gli ombrelli di Trinità dei Monti.
Se i nostri passi saranno profondi
Avremo pace in un regno
Dove nessuno ci aspetta.


IMITAZIONE DELLA LUNA

La luna sanguina alle corna, mite
Settembre torna ai davanzali.
Ai davanzali una voce balbetta:
Luna, luna nova
Chi ti cerca non ti trova
Chi ti trova non ti aspetta.
Luna mia alta dove
È il gatto riverso che si spulcia?
Io non lo cerco altrove, luna
Amorosa. Bruciano
Gli occhi al buio, brucia
La tuberosa di settembre luna
Sempre dolorosa.


A MIO PADRE

L’uomo che torna solo
A tarda sera dalla vigna
Scuote le rape nella vasca
Sbuca dal viottolo con la paglia
Macchiata di verderame.
L’uomo che porta così fresco
Terriccio sulle scarpe, odore
Di fresca sera nei vestiti
Si ferma a una fonte, parla
Con l’ortolano che sradica i finocchi.
È un uomo, un piccolo uomo
Ch’io guardo di lontano.
È un punto vivo all’orizzonte.
Forse la sua pupilla
Si accende questa sera
Accanto alla peschiera
Dove si asciuga la fronte.


CHE INCREDIBILE MATTINO

Che incredibile mattino,
Fuma la lingua ai cani
E Silvestro mi sta vicino.
Io non distinguo più il suono
Delle campane: Sant’Antonio
O San Giacomo... Siamo in fondo alla valle
Come in fondo ad un lago.


Da: I nuovi Campi Elisi (1942-1946)

ELEGIA ROMANA

Ecco l’agro, il verde stento, il fiume
che ha preso il colore dei cocci.
Da anni io non guardo che lapidi
sui lembi delle facciate e delle grotte:
scritte nel vano bianco
dalla mano di un angelo calligrafo
ricordo le belle maiuscole, le eterne
parole, e un solo nome, Prisca
che dorme giovinetta con le Muse.

Accatastati sui muri di una chiesa
davanti alla Fontana di Trevi
(il Tempo ha le zampe di gatto,
ha i denti dei gatti romani)
chi ha deposto i cuori dei Pontefici?
Santa Teresa ha il manto che trasuda
quando a settembre lo scirocco
risale dalla costa africana
e dà un timbro diverso alle campane.
La città ruota come una meteora
alla luce del tramonto: i tarli
crepitano nei soffitti delle dimore
dei vescovi, scendono dai muri
delle case d’affitto gli scarafaggi.
Michelangelo tra queste macerie
cercava la testa bianca di Apollo.

Chi conosce le tue estati, Roma,
sa di aver toccato la luce
fino all’osso, ricorda i capestri,
i catafalchi, le camere di tortura,
l’odore di strame che colpisce
il pellegrino alle tue porte.

Tra questi quartieri io fui
ragazzo pieno di sonno e di appetito.
Fui un giovane letargico
che si nascose a leggere nei tuoi giardini
in compagnia delle statue.
Cercai le funebri siepi del Celio
per pascere il mio tedio
di mussulmano avido di odori.
Chi avrebbe potuto battezzarmi
alla tua fede, frustare i miei panni,
quale Vergine poteva carezzarmi i capelli,
quale Benedetto, quale Pio
avrebbe accettato il dono dei galli
ch’io portai nel paniere?

Ho ignorato per anni la tue cattedrali.
Mi ricordo una sera
che vidi spaccare in Via Baccina
un agnello sul tagliere.
Oggi cammino più lesto sui tuoi ponti
in compagnia di Raffaello.
So quando fioriscono al Pincio
le mimose, quando gelano i carrubi,
conosco la forma delle tue rose,
delle tue nubi. Ho visto i cavalli
scintillanti guardare il cielo
sui terrazzi, i santi sui parapetti,
le donne dai petti mostruosi, le rondini,
i ragazzi sulle rive dell’Aniene.
Conosco il bene di tanta bellezza.
Sono questi i mirti
che scrollano polvere se li tocco,
sono queste le pietre della giovinezza.


PRATO FALCONE

Il ponentino fa tinnire
i grappoli bianchi dei sambuchi.
I fanciulli accendono i fuochi.
Cresce il fumo e l’acre velo
mi esclude un lembo di cielo
come il dolore le lacrime.
Tu canti e più ti sprofondi
voce antartica di questi luoghi
roca rana di palude.
La sera dell’Ascensione
i fanciulli accendono i fuochi
per gonfiare i palloni di carta.


LUNGOTEVERE

Oggi nessuno sa
se il tempo viene o va.
Un uomo è steso vicino al cane
che gli morde l’orecchio. Un uomo
nudo che ha il volto coperto
di uno straccio scarlatto.
Lo bruca il cane come fosse morto.
L’uomo giace supino sulla ghiaia
del mattino deserto.
Passa la gente e trova
che ha un altro senso la città.
Ma nessuno sa bene
se il tempo va o viene.
Girano le due sacche sulla riva,
girano a vuoto e non cade
un pesce o una farfalla nelle reti.
Il cane abbaia:
pace o guerra c’è il verde sulla terra.
E l’acqua muove le bilance
a stento, ché il fiume è troppo lento.

Roma, 1° maggio 1945


TORNANO I FASTI

Tornano i fasti delle tue covate,
le tue ceste gremite di pulcini,
torni per me nei versi la regina
del vicinato.
Grande chioccia celeste, piena zeppa
è la tua cassapanca di veccia
di biada di graniglia, ti pigola
sulla mano il galletto che ha gli occhi
di tua figlia.
Tu non ti lagni, tu non disperi,
per te non fa mai notte innanzi sera.


Da: L’età della luna (1956-1962)


LA STASI, L’ESTASI

Di fronte a un’architettura grigia e rosa
la nostra mente riposa.
Valle Giulia, Monte Cavallo, il Ghetto:
torno tra queste pietre a scaldarmi
il petto.
Oh i facili numeri, la buona regola,
la calma d’una retta
cresciuta come l’acqua dal basso in alto!
La colonna che si rastrema
per dar movimento all’aria
che la circonda, il filo a piombo
che dà un segno alla luce.
L’occhio ha bisogno di una dieta.
Deve seguire il moto
d’una goccia contro i vetri
e il fremito d’un bruco
o di un filo di paglia,
deve riposare ogni tanto
davanti a un’immobile muraglia
senza un buco.


POMERIGGIO

La brezza di Libritti
Nelle bluse, l’acqua
Accanto che suda
Dalla creta. Fu
Con noi tutto il giorno
La nonna assopita tra i canneti.


PRIMAVERA

Vicoli verdi e viola
Al mattino. Di sera
La ressa delle nottole
Fuori dalle cantine.
Tra i cespi di basilico
Piantato nei pitali
Al bambino poeta
Spuntavano le ali.


PASQUA FRIULANA


Il cielo è un guscio d’uovo,
Il grano tanto alto
Da nascondere un’oca.
Una boccata d’aria, un sorso
Di taiut. «Spezzi la torta
Del tuo compleanno
E ti verrebbe voglia
Di tagliarti la gola.»
La rondine vola
Sui rettangoli gialli di ravizzone,
Porta sospiri di fiumi dogliosi
Su queste sponde.
Scintillano i pappi
E i gatti s’incurvano
Al passaggio di una formicolona
Sulle mattonelle del terrazzo.
Si casca dimentichi in un mare
Di latte come la mosca nel piatto.
Muoiono le campane
Del campanile di Latisana.
Una piccola croce intacca
L’orizzonte. Quassù
In fondo a un tunnel d’aria bianca
Le donne portano gli aghi
Di pino nei grembiuli.
Dobbiamo rilassarci,
Allentare i nervi,
Trovare un sostegno alla fede fiacca,
Uno scongiuro alla minaccia
Del finimondo, opporvi il labile
Segno scritto sul petto e sulla faccia,
Il legno che sanguina stasera
Sull’occidua vetta.
Siamo venuti en touriste
Su questa plaga deserta
A vedere la cometa H.
Non troviamo né coda né testa.


CON UNGARETTI AL CAIRO

La Tigre ride sicura
della foresta che trema
di paura, della città
inerme, del povero
che mangia una patata
col sale e beve
crema di avena
davanti ai carretti roventi
di ferri vecchi.


Da: Il passero e il lebbroso (1962-1970)

AUTUNNO

Le mosche sembrano
felici di rivedermi.
Strisciano sulle stanghette
degli occhiali, saltano
sulla punta delle orecchie.
Il foglio bianco le affascina.
Parlo, le accarezzo,
le raccolgo nel pugno,
le chiamo di nome
Fantina Filomena Felicetta.
Mi illudo che siano
sempre quelle.
Una si specchia nell’unghia,
le altre si nascondono
per farsi trovare.


PERE CANNELLINE

C’erano i peri nani alle Canalette.
Fiorivano in anticipo e portavano
frutti minuti, bianchi e dolci
come confetti.
Una pera cannellina
fa in gola l’acquolina,
diceva Mattia per conciliare
il rigore di sua figlia.
Mia madre non voleva moine
tra vecchi e bambini.
Ce la dava anche lei
una pera pràscina,
come astringente.
Stufa di svuotare orinali.


Da: Dimenticatoio (1975-1978)


QUANDO VENNERO I GUARDIANI

Quando vennero i guardiani
a prendersi la salma del Principe
– in quella cameretta sopra gli orti –
io e il mio amico, presenti
il pomeriggio del 22 febbraio
1926, ci coprimmo la faccia
per non vedere le federe
e i lenzuoli strappati nell’agonia
con le unghie e coi denti.


IL CAMPO DELLE ALLODOLE

Il campo delle allodole
è a fianco del cimitero
in una distesa di stoppie
senza alberi. Si vedono in aria
ruotare forsennate
e col becco sdrucire veli di luce.
Poi ruzzolano per contendersi
un chicco di grano.


LE VOLPI

Il mese di luglio
è stato piovoso e fresco,
meno qualche giornata torrida
intorno alla Maddalena.
Le ginestre sono rimaste fiorite
fino a ieri, San Giacinto.
Le volpi scendono sotto i gelsi
nelle vigne.



Poesie tratte da Leonardo Sinisgalli Tutte le poesie A cura di Franco Vitelli (2020), Milano: Mondadori.


Leonardo Rocco Antonio Maria Sinisgalli, più semplicemente LEONARDO SINISGALLI (Montemurro, 9 marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981). Laureato in ingegneria, fu poeta, narratore, saggista, critico d’arte, traduttore, art director, autore di documentari e programmi radiofonici, disegnatore. Fondò importanti house organ e fu responsabile della pubblicità per i maggiori gruppi industriali dell’Italia del miracolo economico, dalla Olivetti all’Alfa Romeo, passando per Pirelli, Finmeccanica, Eni e Alitalia.  Per la sua versatilità è stato definito «un Leonardo del Novecento» in quanto è stato narratore, pubblicista, direttore artistico, direttore di riviste, documentarista, autore radiofonico, disegnatore. OPERE: Cuore - Auto-edizione, Roma 1927; Ritratti di macchine - Edizioni di Via Letizia, Milano 1935; Quaderno di geometria - Campo Grafico, Milano 1935; 18 poesie - Scheiwiller, Milano 1936; Italiani - Editoriale Domus, Roma 1937; Campi Elisi - Scheiwiller, Milano 1939; Vidi le muse - Mondadori, Milano 1943; Furor mathematicus - Urbinati, Roma 1944; Horror vacui, O.E.T., Roma, 1945; Fiori pari, fiori dispari - Mondadori, Milano 1945; L'indovino, dieci dialoghetti - Astrolabio, Roma 1946; I nuovi Campi Elisi - Mondadori, Milano 1947; Belliboschi - Mondadori, Milano 1948; Furor mathematicus - Mondadori, Verona 1950 (edizione ampliata contenente anche L'indovino e Horror vacui); La vigna vecchia - Mondadori, Milano 1956; Tu sarai poeta - Riva, Verona 1957; La musa decrepita - Quaderni di Marsia, Roma 1959; L'immobilità dello scriba - Roma 1960; Cineraccio - Neri Pozza, Venezia 1961; L'età della luna - Mondadori, Milano 1962; Ode a Lucio Fontana - Bucciarelli, Ancona 1962; Prose di memoria e d'invenzione - (Fiori Pari, Fiori Dispari e Belliboschi) Leonardo da Vinci, Bari 1964; Poesie di ieri - Mondadori, Milano 1966; L'albero di rose - (traduzione di poesie lucane) Edizioni Galleria Penelope, Roma 1966; I martedì colorati - Immordino, Genova 1967; Paese lucano - Origine, Luxemburg 1968; Archimede (I tuoi lumi, i tuoi lemmi!) - Tallone, Alpignano 1968; La rosa di Gerico - (a cura di F. Mazzoleni) Mondadori, Milano 1969; Calcoli e fandonie - Mondadori, Milano 1970; Il passero e il lebbroso - Mondadori, Milano 1970; L'ellisse - (a cura di G. Pontiggia) Mondadori (Oscar), Milano 1974; Mosche in bottiglia - Mondadori, Milano 1975; Un disegno di Scipione e altri racconti - Mondadori, Milano 1975; Premio Letterario Basilicata; Dimenticatoio - Mondadori, Milano 1978; Edizione del Labirinto, Matera 1978; Come un ladro - (a cura di J. e S. Sebaste) Bernalda 1979; Imitazioni dall'Antologia Palatina (a cura di Giuseppe Appella) - Edizioni della Cometa, Roma 1980. Opere postume:  Leonardo Sinisgalli, Ventiquattro prose d'arte, introduzione di Giuseppe Appella, Edizioni della Cometa, Roma 1983; Leonardo Sinisgalli, Sinisgalliana, Edizioni della Cometa, Roma 1984; Leonardo Sinisgalli, L'albero bianco, a cura di Rosetta Maglione e Antonio Vaccaro, Edizioni Osanna, Venosa 1986; Leonardo Sinisgalli, Promenades architecturales, Lubrina Editore, Bergamo 1987; Leonardo Sinisgalli, L'odor moro, a cura e con un saggio di Renato Aymone, Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 1990; Leonardo Sinisgalli, Carte lacere, a cura di Giuseppe Appella, con nove disegni dell'Autore, Edizioni della Cometa, Roma 1991; Leonardo Sinisgalli, Furor mathematicus, Ponte alle Grazie, Firenze 1992; Leonardo Sinisgalli, Leonardo Sinisgalli: una galleria di ritratti. 70 disegni, a cura di Giuseppe Tortora, Associazione culturale L'albero di Porfirio, Napoli 1993; Leonardo Sinisgalli, Intorno alla figura del poeta, a cura di Renato Aymone, Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 1994; Leonardo Sinisgalli, Horror vacui, a cura e con un saggio di Renato Aymone, Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 1995.

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