Angelo Barile | Poesie 1930-1963
USCIRE DALLA VITA COME QUANDO Uscire dalla vita come quando s’esce di chiesa in un finale d’organo: s’avventa l’anima a scale prodigiose, tr...
USCIRE DALLA VITA COME QUANDO
Uscire dalla vita come quando
s’esce di chiesa
in un finale d’organo: s’avventa
l’anima a scale prodigiose, trova
il piede sulla soglia
un bianco che vi palpita: e la luce
è nuova.
Ma uscire non è dato in rapimento.
Ch’io possa almeno
lasciarmi dietro la mia stanza, un poco
volgendo il capo a riguardarla, alfine
pulita, sgombra
d’ogni discordia, in ordine sereno
come la chiesa ora vuota: le croci
fanno una chiara ombra
sul pavimento.
PRIMASERA
Accompagnarmi sottobraccio al primo
che passa!
Foresto: a me lo simulo fratello.
Mi sporgo a ogni speranza più leggera
d’incontri, mi sorprendo mentre piego
a spalle immaginate
il capo.
Ora sento da questo
che ogni giorno mi cresce desiderio
di udire voci di stringere mani
di fare insieme a chi trovo, chiunque trovo, la strada,
sento il mio cielo che scolora e presto
si annera.
Un’urgenza affettuosa mi preme.
Da stanche luci di greppi pe’l fitto
del bosco a gradi precipiti calo
trafitto da richiami
a piana terra.
La ripa erbosa mi sfugge, m’afferro
alla pungente carità dei rami.
da: Primasera (1933)
NEL BOSCO
In compagnia di un bel verso
ora cammino solo e leggero,
forse ho strappato un ramo sincero
nel bosco dell’universo.
ESTIVA
In quest'ora di nude
forme, di lingue di fiamma, noi siamo
le tristi salme che bruciano in riva
a un mare fermo come una palude.
Dal nostro rogo
guardiamo a te ventilata fanciulla!
Nel mezzogiorno vitreo di luglio
sulla spiaggia che brulica t'apparti
innamorata.
Ti stendi nella vampa
come nel letto giovanile, ancora
fresco di sogni;
e il capo che hai liberato, la guancia
che sa di mare,
posi nel taglio d'ombra d'una chiglia.
Sui margini di fuoco
ad ora ad ora
chiudi improvviso
apri netto il respiro delle ciglia.
Ed ogni volta, a quel battito senti
un àsolo che viene
da refrigeri d'anima, ti tocca
in viso
la brezza intermittente dei pensieri
che ti stormiscon nei verdi recinti:
giuocano all'angolo della tua bocca.
FUORI TEMPO
In questi giorni di chiaro gennaio
che si disfanno i presepi, s’affioca
la pastorale
anche quest’anno nell’ansa del colle
il mio albero schiude le corolle
inaspettate.
Nella tepida tregua
uno spolvero fai di primavera,
albero illuso. Presto
sopravverra’ un altro chiaro, di gelo,
ti spegnera’ la frettolosa luce:
si prende il vento il tuo fiore gia’ morto.
A giusto sole, insieme,
i tuoi compagni accenderanno la festa,
tu senza voce nel giulivo coro.
Oh, diverso. Ti preme
a una vigilia acerba
il canto fuori tempo del tuo ramo.
Precocita’ fa triste
il tuo fiore, pericolante riso.
Per cio’ mi piaci, animoso cielo.
Cielo tu stesso, baleno al mio inverno:
attimo della grazia. Nel sereno
sei cosi’ breve e fai con la tua fronda
un orizzonte.
LAMENTO PER LA FIGLIA DEL PESCATORE
Nel fresco giorno ha calcato
sì poca terra il tuo piede scalzo!
Hai fatto questi due passi
fra l’orlo del mare e la piana
soglia iridata di salso
della tua casa a terreno.
Eri sul lembo del suolo
che il grande azzurro frantuma.
Da questa ruga di spuma
vacillavi già in braccio al sereno
come sull’uscio del mondo.
Oh, sulla nostra marina
il tuo soggiorno fu mite
e sottovoce, fanciulla
ammainata come una vela
nel bianco dei tuoi pensieri.
Ora canti sull’altra tua riva.
Noi tristi che non ti vedremo
più cucire le bionde reti,
riempir di guizzo i panieri,
i suoi occhi di calmo celeste.
Ora tuo padre ha dipinto
le sue barche di un filo di lutto,
gli tremi viva nel flutto
battuto dal lacrimante remo.
Da: Quasi sereno, (Neri Pozza, 1957)
NEVE
Da noi la neve è festa
rara. Quando sorprende
il paese che dorme
ci si risveglia attoniti, in un chiaro
ch’è d’altro cielo: una calma vacanza.
Tra barche che fan siepe
lungo la strada
come vanno alla spiaggia, il mare fuma
lontano – a tratti dagli orti uno sparo.
Ecco un mattino in quel candore e vede
– a un passo ma su un’isola di luce –
una fanciulla, fiore
della contrada,
che legge, ferma una lettera (giunta
da che paese colorato?).
Ignara
della gente per via,
e di me che la guardo, e della neve
che la incornicia,
legge e gli le ridono. Li leva
a un punto, muove
verso quel punto le labbra, ecco parla,
con uno parla che lei sola vede
ode lei sola come nei miracoli.
Tanta neve è caduta
da allora! tanta neve
fradicia e pesta ho nel cuore. Non so,
veramente non so
da che angolo incolume mi ride
quella bambina.
A TARDA SERA
A tarda sera quando
prego pace ai miei morti,
ad una ad una vi chiamo per nome,
mie sensibili anime. In un lampo
a ciascun nome mi risponde il viso
desiderato,
e il sangue vi ripalpita vi segna
i suoi segreti.
Odono il mio susurro anche gli anziani
che in grembo alla memoria
già posano quieti
e forse ancora anelano in cammino
per i valichi estremi al loro Cielo.
Un poco, andando, si volgono e alcuno
lontanamente sorride…
Ma questi,
al mio cuore i più mesti,
che ieri appena spezzavano il pane
con noi sotto la lampada e nell’ombra
son passati tenendosi per mano,
lo sguardo al focolare:
questi quando la sera
chiamo per nome i miei morti, li vedo
ancora fermi, ancora
trepidi e tesi di là della porta
non richiusa, che geme.
Ecco mi fate cenno, anime care,
d’incamminarci insieme.
Da: A Sole Breve (1963)
UNA FOGLIA
Una foglia nel giovane vento
è crollata che non sussurrò
sul ramo.
Non l'addolcì
rugiada a lungo materna e scarso
un sole la vestì
di verde.
Orfana foglia
che l'aprile in un soffio sospinge
e indifesa l'avvia
alle soglie della prim'estate:
già straziate di luce, incendiate
di papaveri. Ostile
alla sua scarna pagina, un raggio
la trafigge, la spoglia
in una viva geometria di nervi.
OSTERIA DELLA BELLA BREZZA
Padre, finita la giornata uscivi
le belle sere
a prendere l'aria di mare. Sedevi
fuori dell'osteria che non c'è più;
che aveva un nome così fresco, pinto
in azzurro di lettere legger e
sulla bianca maiolica. Hanno stinto
il tempo ed il salino
tante in me cose e non quel nome: spira
dal tuo celeste ancora
la bella brezza.
Discendevi su l'ora
che il nostro mare è una cara contrada
con tesi teli e fumo di comignoli.
Tra poco, e ancora è giorno,
treman sull'acque lumi e nelle case.
Cantan, sù remi, amanti.
Navi fanno ritorno,
escono navi dal prossimo porto,
van per quieta strada
all'orizzonte che il vespro avvicina.
Andavano, per te, sul mare grande.
Andavano distante
anche i piccoli barchi, e tu con loro.
I capitani della Bella Brezza
rifanno a gara
la traversata, toccando le Americhe.
Tempi di vela! Un palpito di nomi
i più marini di Liguria... Ognuno
passava al vostro tavolo, beveva
venti sever -
e il goccio d'oro al fiato vespertino.
Veniva alla tua frasca
l'umana brezza,
sotto il cielo benevolo il brusio
che fa il paese conciliato a riva.
I cerchi delle donne
che giocavano a tombola con i sassi
tolti alla rena; i cerchi delle rondini
che stridevano basse
toccavano la testa dei ragazzi,
tutto animava la tua sera. E l'Ave
sul riposo di un popolo che scioglie
la sua gravezza ai margini turchini.
Ora respiri la brezza infinita.
INSONNIA
I cigolanti carretti
che frangono l’estiva notte
carichi solo di fresco;
e dietro lasciano argento,
primizia d’alba, rimprovero
d’alba che mi cerca il petto;
da spigoli d’insonnia
un dopo l’altro li sento
passarmi a filo del letto:
sporgo una mano che li tocca,
porto un’erba alla bocca
ancora peccaminosa.
Da: Poesie (1965)
ANGELO BARILE nasce ad Albisola Marina nel 1888 e muore a Savona nel 1967. Figlio del fabbricante di ceramiche albisolese Emmanuele Barile, si dedica alla ceramica sin da bambino collaborando con il padre. Ebbe come maestri Antonio Fiammazzo per le lettere italiane, Luigi Silvio Fighera per latino e greco e Adelchi Baratono per filosofia. Si laurea in Giurisprudenza a Genova e poi frequenta la facoltà di Lettere a Torino. Durante il periodo genovese frequenta Giovanni Semeria, padre barnabita, molto vicino al modernismo. Fu collaboratore di Solaria e uno dei fondatori della rivista genovese Circoli, alla quale collaborò assiduamente anche con note critiche, raccolte poi nell'opera Risonanze (1967). Di natura schiva, fu sottile distillatore, nei termini di uno stile fortemente simbolico ma non criptico, di un'esperienza esistenziale concresciuta nei luoghi e nei tempi della sua Liguria; in questa direzione toccò vertici di intensa e dolorosa religiosità. Le sue opere poetiche sono: Primasera (1933), Quasi sereno (1957), A sole breve (1963), Poesie 1930-1963 (1965) e nel 1970 uscirà postuma la raccolta di poesie Al paese dei vasai.