Daniele Moretto | Poesie
NOTTE DI SAN STEFANO Eccoti qui nella piazza dei miei pensieri insieme ad un rintocco della sera puntuale. Ora sei anche tu la notte umida ...
nella piazza dei miei pensieri
insieme ad un rintocco della sera
puntuale.
Ora sei anche tu la notte umida
il vento lagunare che penetra le tempie
e il porticato
sei anche tu I miei passi e la bruma
che bacia le cento finestre.
Sotto I ponti del mio sonno le gondole
passeranno e
dal mio cuore confuso partirà
il tuo treno che non sa di condurre
te,
che non sai d'essere qui.
INTRODUZIONE AGLI ELEMENTI
III (terra)
Come il pastore
non nato pastore
attento ai suoi passi
attento al cammino
che il gregge passi il guado,
incurante del superfluo
ho deciso di ascoltare
l'ansia e la pace delle stagioni
il lento lentissimo continuo
cambiamento dei cieli,
ogni giorno un cielo
ogni giorno una spiga
o una spina che l'anima punge
che tenta rovina,
ma ogni giorno più vicino al giorno
che surge come giunco
umiltà che atta indovina
se pioverà
e chi, che cosa arriverà
O pastore
che lasci silenziose le case!
Sono cadute due fotografie
da dentro un libro – o dalla memoria
di me a Crotone nello stesso viaggio
in cui ti visitai ad Arcavacata,
(un nome così ispanico in Calabria),
e forse andammo insieme, forse tu
scattasti le due foto (ma in che anno?):
in una canto vittoria con le dita
─non so di che, a parte della vita─
nell’altra salgo tre scalini
di cemento tra blocchi lungo un molo
di rovi e di rovine
ma io mi tuffo dentro l’orizzonte.
da: Splendore della materia opaca (Edizioni Polistampa Firenze, 1997)
TUTTI LONTANI
Tutti sappiamo che i morti ci vedono,
siamo per loro una città lontana
affacciata sul mare,
ci scorgono esposti alla nostra condizione
e vorrebbero dirci una parola…
C’è chi pensa di averli accanto,
sia pure oltre il muro, i propri cari,
a guidarlo…
Monica mi sveglia da Firenze con un sms.
“Oggi è la luna piena di luglio,
in India si festeggia il Gurupurnima
pare sia il giorno in cui gli Avatar
si mettono in ascolto
e gli uomini possono far suppliche”.
E c’è da anni questo volto che parla…
Ma se i morti parlassero, sapreste
che la morte è altra cosa
da quello che pensate.
Giudice!
Dunque, Lei sa già cosa voglio dire!
Le parole provengono dal cielo
e ad esso ritornano.
Il tuo discorso, come il mio,
scorre nell’acqua
che avvolge la memoria del cosmo.
Niente è separato dall’origine.
Chi scrive sa che scrive per i vivi.
Sì, i morti imparano altre cose.
E i vivi, cosa devono imparare?
Che la vita è una scuola,
vi si transita per imparare.
A me pare che pochi stiano attenti,
che i più dimentichino tutto, Giudice.
I vivi non imparano
a essere vivi.
Imparare, già, e quanti maestri!
A fare, in questa valle, anima
a vedere davvero
a vero far l’esistere
ad ascoltare
aiutare a far nascere
e far crescere coscienti
a seminare per raccogliere
per poi seminare di nuovo, il nuovo
– quello che fa la vita.
Ciò che nutre e determina la vita.
Come si impara l’esser vivi?
Osservando le leggi.
Quali leggi?
Le leggi naturali.
E dove sono scritte?
Nella vita!
(quasi parlando tra sé)
Pèrdono invece tempo, i vivi,
e poi pretendono diventare ricchi
tanto più quanto più sprecano
l’oro dell’esistenza
quanto più si svuotano
le tasche del suo senso
– potrebbe essere il loro! –
buttano via tutto
appena adulti o si credano tali,
gesti inconsulti, imitazioni stupide
di altri gesti – non gesta –
giocano senza verità, incapaci di vere azioni,
si svuotano e si riempiono parlando
un chiacchiericcio che frigge
brusìo da corridoio, da bus affollato
parlottìo afoso…
Capisco,
esempi del discorso spezzettato.
Ma… i morti cosa si dicono
quando si incontrano?
Le anime come comunicano?
Perché vuoi saperlo?
Serve piuttosto far capire ai vivi
che essi non si ascoltano,
non si capiscono.
Perché non ci capiamo?
Perché non ascoltiamo?
Siete tutti lontani.
Lontani?
Siete tutti lontani dalle leggi
e dalla legge madre di ogni legge.
Siete pertanto – fuori dall’amore –
lontani tra di voi.
Lontani dalla luce,
non comprendete il senso del viaggio
né chi vi sia compagno;
pochissimi si salvano
e non basta essere giudici
per essere giusti…
Dimmi, piuttosto, della mia città.
La città è scura, la città è chiara
arranca, s’arrabbatta
coi suoi espedienti nonostante tutto,
la città è disperata e spera,
la valanga dell’ignoranza avanza
dell’indifferenza
della politica contro la polis,
ma la città ha mura ancora forti di esperienza
e i contrafforti della pazienza,
è da dire che il principe è un fantasma
non si sa di che colore ha il sangue
ha paura del confronto,
dimentico degli ultimi, diviene ultimo
il primo cittadino,
la città si piega la città prega
segue devota il carro della santa,
dimentica l’offesa ripetuta
come donna venduta e ricomprata
non porta mai rancore, sì tristezza.
Le piccole conquiste costate sangue
si riperdono giorno dopo giorno
pietra su pietra si consuma
eppure la città profuma
ancora di salsedine e gelsomino
ai mercati saltano pesci e colori
sorrisi e bellezze femminili salvano
i giorni spesi a ricercare invano
un rimasuglio di comunanza
il capo nel garbuglio.
Ah, come amavo le giornate di Luglio
quelle sì che mi furono strappate
e il filo quotidiano dell’affetto
dei miei mi tiene ancora legato
al dolce mondo così spesso amaro…
(dopo una pausa)
La gente, la gente…
Cosa?
Il popolo. Per esso ho fatto tutto.
Il popolo non deve mai arrendersi
però va preparato, moralmente
educato persona per persona:
ogni fiore appartiene all’universo
ogni creatura ha senso
a ognuno spetta la sua fioritura.
La voce si allontana, non si spegne
– le onde mutano d’intensità
e muta la mia attenzione.
Ritornerà nel corso delle ore
arando la mia mente, diradando
dubbi e rimettendone altri
più o meno ardui al vomere.
DANIELE MORETTO è nato a Palermo nel 1961. Insegnante di Lettere, poeta e scrittore, operatore culturale, cantante lirico. Ha vissuto circa vent'anni a Firenze, dove si è formato letterariamente e musicalmente. Laureatosi con Sergio Romagnoli con una tesi sul Movimento Ermetico, considera il lavoro poetico nell'alveo di quella tradizione (come direbbe Rilke, del fare cose). Ha pubblicato vent'anni di lavoro nella silloge Splendore della materia opaca (Edizioni Polistampa Firenze, 1997) con presentazione di Alessandro Parronchi. Dal 1992, ha curato un lavoro parallelo di divulgazione della cultura poetica - cioè: cultura della vita! - attraverso il mezzo audiovisivo, con il Progetto FARI - la poesia nella realtà. Proprio da quel progetto è scaturito l'incontro con Danilo Dolci nel 1996 a Partinico, incontro che ha prodotto sviluppi importanti nella sua visione delle cose poetiche, sociali, educative. Si occupa di didattica maieutica, ed è coinvolto direttamente in problematiche sociali, in special modo a difesa dei diritti dell'infanzia.