Cristina Campo | Diario bizantino
I Due mondi - e io vengo dall'altro. Dietro e dentro le strade inzuppate dietro e dentro nebbia e lacerazione oltre caos e ragione porte...
Due mondi - e io vengo dall'altro.
Dietro e dentro
le strade inzuppate
dietro e dentro
nebbia e lacerazione
oltre caos e ragione
porte minuscole e dure tende di cuoio,
mondo celato al mondo, compenetrato nel mondo,
inenarrabilmente ignoto al mondo.
dal soffio divino
un attimo suscitato,
dal soffio divino
subito cancellato,
attende il Lume coperto, il sepolto Sole,
il portentoso Fiore.
Due mondi - e io vengo dall'altro.
La soglia, qui, non è tra mondo e mondo
né tra anima e corpo,
è il taglio vivente ed efficace
più affilato della duplice lama
che affonda
sino alla separazione
dell'anima veemente dallo spirito delicato
- finché il nocciolo ben spiccato ruoti dentro la polpa -
e delle giunture degli ossi
e dei tendini delle midolla;
la lama che discerne del cuore
le tremende intenzioni
le rapinose esitazioni.Due mondi - e io vengo dall'altro.
O chiave che apri e non chiudi,
chiudi e non apri e conduci
teneramente il vinto fuor della casa del carcere
e fuor dell'ombra della morte
e il senzatetto negli atri luminosi
dei mille occhi impassibili
di chi ha compiutamente patito
e delle mani contro la notte levate
nel santo ideogramma della benedizione -
disegnati
ridisegnati
secondo gli otto toni che separano gli otto cieli
con l'erotico incenso e il ferale myron,
al centro del petto, al centro del Sole, là dove il Nome
- myron effuso è il Tuo Nome -
rapisce in vortice immoto alla vita del mondo,
zampilla nuovi sensi dal mondo della morte.
II
Uno a uno vengono accesi i volti
alle radici millenarie
della selva d’icone,
per fare di giorno notte,
neve e stelle,
per far della tenebra rose
-più che rugiada trasparenti rose.
E la fiamma sboccia come il bacio all’icona
e il bacio sboccia come la rosa all’icona,
culmini della linfa della terra,
culmini del respiro dell’amore.
Ma la Luna qui
sboccia nel Sole,
la Luna partorisce il Sole.Alla pesante pioggia
dell’altro mondo s’intesse
il soave scrosciare delle dalmatiche di questo mondo,
l’altero volo dei veli di questo mondo
inenarrabilmente ignoto al mondo.
Estatici allarmi ed appelli
d’angeli ministranti:
Le porte! Le porte!
escano i catecumeni!
Tre volte beato l’inno,
tre volte divina la folgore
teologica dei Cherubini,
ingiunge di deporre, disperdere dimenticare
ogni sollecitudine mondana.
Nessun catecumeno rimanga!
O imperiale fragranza,
olio di rosa bulgara che misteriosamente dischiudi
tra ciglia umettate l’occhio
della fronte, l’occhio del cuore, l’occhio del Nome
- myron effuso è il Tuo Nome!
Macerato con sessanta aromi
su un fuoco di vecchie icone
estinte da baci da fiamme e da lacrime
per gli eoni degli eoini
ruotate tre notti
tre giorni
sulle spirali del Verbo,
stilli ora luminosa intorno al trono
del Basileo morto
dell’immortale Archiereo:
che tragicamente s’arma, aquila librata
sopra la gnostica aquila della città inviolata
dal capo alla mano alla gamba
per la terrificante operazione.
Tempo è di cominciare, Despota santo…
Nessun catecumeno rimanga!Ruota
lentissima intorno e folgorante
siderale e selvaggia
danza d’angeli e di ghepardi…
Panico centrifugo
e centripeto rapimento
dei cinque sensi nel turbine incandescente:
spezzato, aperto di forza l’orecchio dell’intendimento
dalla ritmata percossa delle catene d’argento;
poi, nel cosmico manto
dei tre fiumi e dei quattro quadranti
dalla lenta inaudibile benedizione:
poiché qui Dio non parla nel vento,
Dio non parla nel tuono:
parla in un piccolo alito
e ci si vela il capo per il terrore.
III
O despota ferito
che col bisturi d’oro
ad ogni sole tagli nel tondo Sole
l’Agnello immedicabile,
tagli la Luna sovrana, tagli le Stelle fisse
e le opposte galassie
(cibo di salute, cibo di pace!)
dei vivi sui due versanti della morte!
Tremendo è che nei nostri sguardi affondi
l’impassibile sguardo
di Chi ha compiutamente patito,
di Chi con la stessa mano imparte ed è impartito,
e spezzando è spezzato,
immolando immolato, mangiato e mai consumato
(con desiderio ho desiderato…)
Tremendo che a ciascuno
sia di nuovo irrevocabilmente assegnato
per gli eoni degli eonicome nell’Eden il suo nome e il suo cibo.
Faccia a terra le incorporee Legioni,
gli Arcistrateghi di luce,
i nostri denti affondano nelle carni dei cieli…
Ma le nostre bocche mai svezzate
in eterno grondanti la purpurea
gloria ciecamente donata
e ciecamente ricevuta,
si ostinano a impetrare
(con desiderio ho desiderato)
per te, per te, signore,
la pace che sovrasta ogni ragione,
ogni intendimento, ogni tradimento: la pace
che non ti possiamo dare…
Lungo l’intero giorno,
lungo l’intera via che porta a questo mondo
e cancella ogni via che porti a questo mondo,
lungo la dura tenda
di pioggia e lacerazione
di caos e di ragione,
lungo i due fili della duplice lama
di intenzioni e di esitazioni
come te, come te, signore,
noi siamo consegnati a quella morte
che con più denti dell’amore morde
e separa la rosa
dal bacio e dalla fiamma e dalle stelle le nevi
e l’emozione dall’intellezione
e il mondo ricompone
ma atrocemente, ma come attraverso il fuoco,
per chi, Despota puro, dal puro Nome sarà salvato
e dal sepolto Sole e
dal tremendo
Dono.
IV
Nell’oro e nell’azzurro
di questo minimo cosmo
loculo d’antichissimo colombario
gyrum coeli circuisti sola,
neonata parola
du kleine, waffenlose Dichterin! Per un’ora
nei padiglioni del tuo Creatore
gyrum coeli giocando ti fu ridato
l’anello bianco di San Vitale
la costellazione sovranamente immota,
sovranamente ordinata
intorno al sole del temporale signore
e del signore spirituale:
i cento occhi cherubinici non fissi su di te
ma sugli augusti deserti che dovrai traversare
che ti dovranno traversare.
Dai cigli sconfinati
sopra il latteo pallio di Massimiliano
alla stola color foglia del fanciullo di frange nere
che, rosa
- più che neve trasparente rosa –
lascia tremar sul cero la fiamma come un bacio
lascia tremar l’aër, neve leggera,
e lo sciàmito purpureo sul Calice che non è dato
durante cinquanta giorni
nemmeno contemplare…
O Coppa dei Misteri che bolle e non trabocca,
come il tuo sangue, specchio del tuo Sole!
o tacere dei canti, polverizzato il cuore!
Cocente, celestiale,
cadenzato dolore
che, neonata, giocando dinanzi al tuo Creatore,
circuisti sola.
CRISTINA CAMPO, pseudonimo di Vittoria Maria Angelica Marcella Cristina Guerrini, è stata una scrittrice, poetessa e traduttrice italiana. Nacque a Bologna il 29 aprile 1923, unica figlia di Guido Guerrini, musicista e compositore originario di Faenza, e di Emilia Putti, nipote di Enrico Panzacchi e sorella di Vittorio Putti, celebre chirurgo ortopedico. Per una congenita malformazione cardiaca, che rese sempre precaria la sua salute, Cristina crebbe isolata dai coetanei e non poté seguire regolari studi scolastici. Fino al 1925 la famiglia Guerrini visse presso la residenza del professor Putti, nel parco dell'Ospedale Rizzoli di Bologna. Successivamente la famiglia si trasferì a Parma, e dal 1928 a Firenze, dove Guido Guerrini fu chiamato a dirigere il conservatorio Cherubini. L'ambiente culturale fiorentino fu determinante nella formazione di Cristina Campo, a cominciare dall'amicizia con il germanista e traduttore Leone Traverso, da lei chiamato affettuosamente "Bul", al quale, per qualche tempo, fu legata anche sentimentalmente. Importanti furono gli incontri con Mario Luzi e Gianfranco Draghi (che le fecero conoscere il pensiero di Simone Weil), Gabriella Bemporad e Margherita Pieracci Harwell, la letterata che avrebbe curato la pubblicazione delle opere postume di Cristina Campo. Restò a Firenze fino al 1955. Cristina Campo fu traduttrice soprattutto di autori di lingua inglese, come Katherine Mansfield, Virginia Woolf, John Donne, e William Carlos Williams. Per tutta la vita predilesse Hugo von Hofmannsthal e Simone Weil, della quale tradusse la tragedia Venezia salva e il saggio Iliade Poema della forza. L'ultimo decennio della sua vita la vide emarginata dalla scena culturale e profondamente interessata alle tematiche del sacro e della spiritualità. Il 1965 è una data che fa da spartiacque anche per la chiusura del Concilio Vaticano II, sinonimo di apertura della Chiesa al mondo, rinnovamento che la Campo osteggerà con tutte le sue forze. La sua concezione del cristianesimo, a cui si avvicinò sempre più negli anni fino a diventare una fervente cattolica, fu nettamente ortodossa, contrapposta alle riforme liturgiche seguite al Concilio Vaticano II e in favore della messa tridentina, ossia del rito tridentino, in latino. Cristina Campo fu tra coloro che fondarono la prima associazione di cattolici tradizionalisti, Una Voce, alla cui vicepresidenza onoraria fu nominato Eugenio Montale. Nella capitale conosce Elémire Zolla che diventerà suo compagno di vita e di lavoro (tra le altre cose Cristina collaborerà all'antologia "I mistici" e scriverà sulla rivista «Conoscenza religiosa» diretta da Elémire Zolla), insieme al quale ha combattuto una battaglia contro la modernità e per una concezione dell'arte aristocratica, raffinata, indistinguibile dalla perfezione che solo può trovare linfa nel sacro e nel misticismo. Sulla rivista Conoscenza religiosa, apparvero gli ultimi scritti di Cristina Campo, tra i quali vanno ricordati il saggio «Sensi soprannaturali e le "poesie sacre"» ispirate alla liturgia bizantina. Nel 1962 esce da Vallecchi un suo volume di saggi, "Fiaba e mistero" (che in parte confluirà ne "Il flauto e il tappeto" pubblicato da Rusconi nel 1971). La morte di entrambi i genitori (avvenuta a distanza ravvicinata a metà degli anni '60) alimenta forse una nuova svolta che accentua la tendenza all'isolamento, perfezionato con il trasferimento sul colle dell'Aventino (una secessione dal sapore in questo caso elitario), dove già frequentava l'abbazia di Sant'Anselmo tenuta dai monaci benedettini. Cristina Campo morì a Roma il 10 gennaio 1977, all'età di 53 anni, per un'ennesima crisi di scompenso cardiaco, ed è sepolta nel Cimitero monumentale della Certosa di Bologna.