Filippo Passeo | Alcune poesie

Da: Ventilabro (Samuele Editore 2017) GABBIE   Tende pesanti alle finestre, cateratte sull’iride d’una giovane vita; tu non vuoi uscire, la...


Da: Ventilabro (Samuele Editore 2017)


GABBIE

 

Tende pesanti alle finestre,

cateratte sull’iride d’una giovane vita;

tu non vuoi uscire, lavarti, pettinarti,

guardi l’acqua come pece che t’imbratti;

caracolli per casa in pigiama

e più non credi di potere incontrare

angeli e principi per le strade.

 

Un treno s’è spento

e non vuole uscire dalla galleria scura,

scendono tutti i sogni e gli anni più belli

e vi salgono voci e ombre di spettri.

 

Io e mamma aspettiamo fino a mezzogiorno

mentre tu tenti di truccarti, tenti di vestirti,

ma sei ancora in pigiama oltre mezzogiorno,

prigioniera d’una membrana d’ansia

che vorresti bucare.

 

Noi non pensiamo più

d’assaporare gli ultimi anni,

e quando per forza dobbiamo andare

tra persone e negozi,

io e mamma ci sentiamo dei ladri, ragazza,

dei ladri di sorrisi, riverberi, stelle,

che dovrebbero essere tuoi, ragazza.

 

I nostri tramonti sono alla fine,

quando cominceranno le tue aurore?

Ragazza,

ragazza dagli occhioni vellutati e verdi,

come il tenero frumento di Sicilia.

 


TANTI TEATRI

 

Che crolli il sipario,

sono tutti morti.

 

Sul tavolato invecchiato del palco

nessun rumore di fantasmatici sentimenti.

 

Il mio teatro è morto,

i miei attori, le scene, gli atti.

 

Con in testa una tavola piena di lune

mia madre scendeva per la stradina operaia

salutando il vicinato

col profumo del pane appena sfornato;

 

mia madre che un giorno mi portò in miniera

e non capivo perché mio padre in mutande

scendesse in un pozzo dentro una gabbia;

e i miei zii che con sessanta lire

e un panino con le panelle

mi portavano a un cinema tuonante

delle imprese di Maciste contro Ercole.

 

Sono tutti morti.

Morti i miei eroi, i leaders, le valenze,

e anche i luoghi, che fiorivano

ogni volta che vi passeggiavo con Marilena.

 

Il mio teatro è morto.

 

Al buio, in silenzio,

su una poltrona nera,

lasciatemi dire all’anima gonfia

perché inganni il corpo

esorcizzando il tempo dei suoi giorni.

 

 

STUPIRSI

 

Siamo stati alberi del pane,

della manna e dei paternostri,

siamo stati alberi del viaggiatore.

 

Tu l’immaginavi

saremmo diventati tronchi

senza speranze più di rinverdire

e rami senza più verticalità.

 

Immaginavi tu, secchi e nudi,

di dover temere quel vento

che a ogni stagione ci apriva le palpebre

come petali nell’azzurro?

 

Ferite come cavità oggi nell’alburno

ma stamani meno ombra tra le ciglia,

un’allodola si è fatto il nido

nella piaga più profonda

e all’alba c’intona

canzoni che non sanno di tramonti.




Da: Poesie d’amore e di dolore (Samuele Editore 2019)


 

SALVA

 

Vita mia nelle tue mani,

foglio che s’imbianca

se non lo scrivi.

 

Immergilo nel tuo mare

e ripescalo sempre

con una poesia azzurra

sulla nostra storia

prima che si perda in un acquario.

 

 

L’AMORE

 

Hai alzato un muro d’acqua

nella mia testa

per dividerne il dissidio dei pensieri.

 

Il muro è caduto invece

ed essi tutti si sono sciolti,

meno uno incastrato

nel solco del labirinto più profondo.

 

Sapevi di quel pensiero

e hai finto di potermelo estrarre.

 

Baciandomi

hai bevuto acqua e vino dalla mia fronte

ma l’ubriacatura di

metafore di amori e desideri è rimasta.

 

Ho dovuto tenermi abbracciato a te

per incamminarmi tra le più strette strade

assaporando a ogni tappa a ogni bacio

il retrogusto di antichi legni

di botti e vigneti del Sud.

 

DEPRESSIONE I

 

Nello studio rinascimentale

c’è tutto, non la felicità.

 

Mescolo astri e pianeti

cercandone uno giusto,

mi perdo tra righe di formiche

senza un seme

che graffiano ogni pagina

dove volti fuggono,

ma non dimentico

che tu sei chiusa nella tua stanza.

 

Semi di farmaci

non sono sbocciati nell’oscurità,

né fiamme di parole posate nella grotta

hanno saputo illuminarla…

 

e scrivo scrivo

 

e non dimentico

che tu sei nella tua stanza su un letto:

tua nuvola, tua terra;

la rosa degli anni butta petali

sotto i tuoi piedi d’oro e di piombo

e tu li calpesti senza accorgertene.

 

Sempre a fissare la tv,

ragazze che parlano di principi…

ma a te nessuno viene a baciare gli occhi di giada

per svegliarti nella tua foresta nera.

 

E tuo padre e di là, nel salone principesco,

accanto a un pianoforte che non sa suonare

si spruzza parole addosso,

ma non è perchè non ti vuole bene…

 

è che non trova la formula per il tuo dolore,

perchè non ti ha saputo accendere la bellezza della vita,

perchè si credeva un poeta

con la magìa di parole e suoni.

 

RAGAZZA (DEPRESSIONE II)

 

Sono stato un pescatore,

mi sembrava di averle raccolte

tutte le stelle nel mare del cielo.

 

Non potevo pensare

che avvolta dal buio una stella

si tenesse così lontana

dal nido incandescente della luce.

 

Cominciò un andirivieni verso

quel grumo oscuro

che imprigionava l’oro d’una stella,

vana la rete di affetti

per riportarla al centro del fuoco,

troppo smarriti astenia e dolore

tra i corridoi della mente.

 

Al ritorno,

il cielo del mare m’aprì gorghi nel cuore

dove annegai ogni acquario astrale.

Nel porto solo tempeste e vele strappate.

 

Chissà se dall’oscurità un giorno

sorgerà la nostra stella d’oro

a ravvivare un focolare da anni spento.

 

 

EMERGONO

 

Le parole si mettono in fila,

non un presentat’arm all’autore,

è un augurio per un viaggio

verso l’amore e qualcosa che non si sa.

 

Un treno che vorrebbe

attraversare il territorio di lei,

ogni tanto stazioni e rallentare

se rosa qualche trolley alza.

 

Ma troppe le direzioni

per non perdersi

in un deserto di pagine bianche,

le sillabe sono

vagoni vuoti trascinati da un’illusione.

 

Eppure non cadono

nel precipizio dei margini d’un foglio,

creano sempre ponti

per attraversare le pagine della vita,

anche con illusioni e visioni.

 

Senza foce sono sole le parole,

non sono mute però le parole,

sono fonemi,

vibrano sempre dei canti dell’amore

per lei e per il mondo.

 

TRA VALLE E MARE

 

Da sponda a sponda ondeggia la vita

e chiodo non fissa nome.

Il pontile non guarda.

 

La notte che ti lasciai nella valle

sapeva di sale e lattuga di mare

il tuo corpo d’acqua azzurra.

 

Ti dissi di uova che si aprivano nella spiaggia,

che non avremmo lasciato orme né ombre

sulla sabbia quarzifera senza un diamante,

ti dissi di sciabiche

che pescavano cigni e pianeti

e lasciavano nel fondo le perle

e che potevamo rinominare i relitti.

 

Sei voluta rimanere

tra le braccia delle tue montagne.

Un ventre senza uova

che non vuoi piangere o amare.

 

Mia vita tra sponda e sponda.

I pontili senza occhi.

Ti ha spaventato

il movimento dell’amore e del dolore

e non senti quando la luna ulula

che l’alta marea vorrebbe inondarti ancora.

 


DEL POETA CHE GUARDAVA IL MARE

 

Lo guardava nella tempesta,

le sue zanne rotolavano

stritolando la vita

col dolore coperto dal frastuono.

 

Lo guardava nel sereno

con il sole coricato sulla sua pancia

che rumoreggiava vomitava.

 

Sulle spiagge relitti orche sardine bombe,

prue di incrociatori  ali   madieri   bidoni fagotti,

sì, anche Jamal e Jasmine e il loro bambino,

cadaveri.

 

Il poeta che guardava il mare

s’immerse con la poesia in mano

e un vortice immenso risucchiò ogni peccato

pulendo tutte le coste

di ogni testa di pesce        di ogni pezzo di cuore.

 

Lo vide inazzurrarsi il poeta il mare senza sale

e il dio sole babilonese Shamash

lo illuminò e inseguì in ogni sua insenatura,

in ogni suo malfido nascondiglio.

 

Ora sussurravano le onde quasi un cantico

che scendeva dai monti del cielo

dove qualche dio cominciava a muovere la bocca.

 

Il poeta che ascoltava il mare…

un’acquasantiera con tante mani sporche,

chiuse gli occhi

e non cantò più.





Da: Riflessi in un prisma (Samuele Editore 2021)



IL TEMPO

 

A tutto ciò che è

il tempo dà vita o lo trasforma.

 

Spaziotempo,

cronotopos, un’unica entità

infinita e senza forma.

Ma il tempo immobile

fecondò lo spazio vuoto con una scintilla,

e questa fece scorrere il tempo

che cronometrò la vita di ciò

che nello spazio cominciò a esistere,

dai quark agli ammassi stellari.

 

Ha monitorato la distanza

tra uomini e nazioni sulla terra

e quella della terra dalle stelle,

persino la durata della salita

dell’ascensore per casa mia,

perfino le pulsazioni del tuo cuore

mentre mi apri la porta

senza età.

 

 

LA SCELTA

 

Nel quaderno rosso cercavo

una mia poesia da incorniciare,

non la trovavo.

Mia moglie stendeva

tutti i suoi vestiti sul lettone

per scegliersi il più bello,

non lo trovava.

Le dissi: “Teniamoci l’abito che abbiamo,

saremo noi stessi,

quando lo toglieremo

l’amore sarà più sincero”.

 

 

COMPLEANNO

 

Ho la mattina in faccia.

Sono in una chioma d’oro.

Sono nella spirale del vento,

alghe con frammenti di corallo

si attorcigliano alle caviglie

e gli oceani m’entrano nella fronte

quando si alzano.

Non parlatemi d’ossa con grumi d’anni,

di perdite, di tramonti nei capelli.

Mi basta un giorno per bermi la vita

mentre il sole s’incatena nei miei occhi

a mezzogiorno.

 

 

CHE C’È?

 

Non sapere cosa ci sia

sopra e dentro.

 

Nuvole con spilli di sole,

ali staccate da corpi irriconoscibili,

angeli senza meta,

nebbie con gli occhi

su paludi che fermentano polimeri,

pagine pallide su culmi d’oro

mai mietuti…

Il pensiero naufrago in aria,

quel vento che sbuca

dagli angoli dei cantoni che ti trascina,

a un tratto tutto ti spazza dalla testa.



FILIPPO PASSEO, nato al centro della Sicilia a Caltanissetta da una famiglia di minatori nel 1954. Vive a Modena. Laureato in Lettere è ingegnere di arte mineraria, ha lavorato per trent’anni nei sotterranei delle miniere di zolfo siciliane, ora chiuse. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie: Bruciati il cuore (2016), Ventilabro (Samuele Editore 2017), Umani, a priori per la felicità (2018), Poesie d’amore e di dolore (Samuele Editore 2019), Le nostre vite (Oédipus, 2019), Osmosi (Puntoacapo, 2020), Riflessi in un prisma (Samuele Editore 2021).

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