Paola Silvia Dolci | Poesie varie
Da: Amiral Bragueton (Italic-Pequod, 2013) Questo è un segreto e tu lo devi mantenere. Io sono un ammiraglio e tu mi devi credere. IX. «Il...
Da: Amiral Bragueton (Italic-Pequod, 2013)
Io sono un ammiraglio e tu mi devi credere.
IX.
I bimbi negri, Caroline smaccate
sulla soglia del cinema pornografico
dei clienti bianchi. Nelle vie portavano
la fame e la pace che si ha
quando ci si addormenta su un prato al sole.
«Davvero, come ti bacio diventi triste.»
Al Corpus Cristi la sirena aveva pesci per capezzoli.
Era un vecchio incurvato dal chiasso
cucchiai, pentole, tamburi e scimmioni
l’amore che gli esseri umani sembravano
nutrire l’uno per l’altro.
XXV.
Se guardi il video delle bacche bianche nel cimitero
puoi vedere il freddo.
Ti pensavo.
Non mi credi e così fai di me un santo.
Quando scrivo sono molti i destinatari.
I sentimenti sono in me come quando ero bambino
e mia madre e mio padre si confondevano
le figure. Non so distinguere.
Tuttavia sto mangiando una mela
e immagino sia la tua bocca.
(Mosca, 5 dicembre 2011)
«come se questa intimità ci costasse la pelle»
Cremona, 12 febbraio 2012
questa scrittura è la mia sostituta.
Vorrei passeggiare per la tua città
in orari diversi dai tuoi.
Ieri sera bevevo vino nel foyer
e cercavo se mi stessi guardando.
Poi, mentre la Marinelli recitava
– quando Apollo ti sputa in bocca
e – venne Achille la Bestia
mi sarei alzata e ti avrei raggiunto al buio
per baciarti di nascosto.
Inizio sempre a parlare quando bisogna salutarsi.
Per disfarmi del dolore ho dieci minuti.
III.
Cremona, 28 febbraio 2012
Durante il loro primo amore furono (iceberg) felici.
lei stava cercando la vena nella pietra.
Alla pletora di vecchie poesie
non avrebbero potuto aggiungere
la passeggiata sul lago,
la neve in quei giorni stranamente caldi
di fine febbraio
e di ogni cosa si poteva essere spettatori
ma non vivere.
VI.
Punta Ala, 17 aprile 2012
sulle braccia stanno guarendo.
Stamattina scrivo da un tavolino del porto,
è primavera, indosso il tuo foulard blu.
Se è vero, come in quella poesia,
che il sonno è più forte quando si sogna ciò che è stato
perché invece io piango?
La grazia di mancare il bersaglio.
II.
Le donne indossano maschere contro il freddo.
Gli uomini pescano, cacciano oche
e commerciano birra.
Amore, regalami
il latte che scorre di Veermer,
Eros nella palla di vetro con la neve
e Willem Van de Velde a Livorno.
Io terrò il conto delle vele.
III.
Else è tua.
Scuro cuore di cerva schierava
l’Oceano Atlantico,
l’inverno, tra te e lei.
Tu eri il ricordo che si alzava
come l’asta del saltatore.
(São Paulo, 21 luglio 2012)
IV.
La mia vera Penelope è Matisse.
Per tutte le mie poesie voglio usare l’espressione
Da una poesia anonima
E aprirvi la bocca con le more, schiacciando.
Canterò la guerra
Quando avrò esaurito il tema del viaggio.
(Desenzano, 27 giugno 2012)
V.
Esco, sul ponte a guardare le stelle: il cielo è bianco.
Mia madre è sdraiata su un divano.
Dice che devo fare l’amore con lei, che vorrebbe farlo a ogni ora.
Mi sento male.
Rifiuto.
Prende un coltello e mi uccide.
(Cavo, 9 agosto 2012)
VIII.
i.
Si faceva quadro: aritmetica mentale di Bogdanov-Belsky.
Ogni meccanismo e calcolo
rappresentava sul volto un’espressione diversa:
da quando immaginavamo
e creavamo.
ii.
mi piace comprare le foto di sconosciuti nei mercatini delle pulci.
Mia sorella, mia madre e mia zia al Parco dei Divertimenti.
I nonni una domenica.
È mio padre da bambino.
(Mosca, 27 ottobre 2012)
XI.
Novembre è penetrato dal lago e non parla,
un’immobilità amorosa e funebre.
Else: non stringere, molla.
Ricarica e spara.
(Desenzano, 26 novembre 2012)
XII.
Else! Ti appendo per le tonsille!
Else, aiutami,
mi sembra di diventare reale.
ci sono le stelle.
Stanotte il lago voleva fare il mare
(Desenzano, 29 novembre 2012)
Da: Bestiario, metamorfosi (Gattomerlino, 2019)
eravamo i bambini che nel buio
si facevano coraggio
un uovo insanguinato, latte, caldo
e calma
CAFFÈ ITALIA
i.
Quell’atmosfera da mensa di sanatorio in inverno. Sempre un
po’ troppo freddo. Il bianco, il coltello piatto e il burro sul
pane, le porte di legno sbrecciate. Le occhiaie grasse, la bambina
che dorme e il cane che abbaia per il cibo.
ii.
di cui sentii parlare nelle fiabe. Per tutta la notte mi sono
morsa la guancia. Mi estraevano dal cuore un martello.
iii.
nebbia, la terra unta, i lombrichi.
La vecchia sdentata conta i soldi, non può permettersi la dentiera,
le visite, la casa è una ghiacciaia.
Questa è la povertà in cui si sembra ricchi.
iv.
Devo prestare molta attenzione a non sporcarmi quando faccio
un bisogno.
*
nella stanza del dottore la bambina
cronicamente bisognosa
gioco
i.
hai sulle spalle una donna
facciamo l’amore tu in piedi con la donna sulle spalle
ed io seduta sul bordo del tavolo
ii.
tocchi gli orli dei vestiti e delle lenzuola
raggomitolato, un serpente del lago
rientri nella pelle
avrei voluto vivere una casa circondata da cose tue
iii.
quando rimasi incinta mi resi conto che vivere era terribile
iv.
leggo ad alta voce ti svegli e ti muovi
a me passa la paura
v.
la ragazza prende la bacchetta magica
poi afferra la testa della morta
e lascia cadere tre gocce di sangue per terra
una davanti al letto, una in cucina
e una sulle scale
ho le lacrime più dense del latte
vi.
al seno sinistro mi vengono messe due ali di farfalla poi di canarino di colomba di falco poi di aquila due grandi enormi ali nere di angelo
vii.
amniocentesi, carnivoro, peridurale,
coleostasi, sezione aurea
una fitta al costato
ogni velo uno strato
“Nessun tempo ha bisogno di noi”, scrive Antonella
come un guscio
mi svuota – ti riempie
(Non ti fidi di me
e’ così evidente.)
ci fonde nel tuo pieno, nel mio niente”
viii.
si facevano coraggio
imparavamo la voce diretta delle cose
un uovo insanguinato, latte, caldo
e calma
*
fino a farne una frusta, un cappio
giorno 16
pos 43°05.14’N 9°84.11’E, Tramontana, 10 nodi al traverso, bruma; sono pronta a ricevere uno schiaffo, continuo a non capire cosa significhi sentirsi amati
*
il significato simbolico dei fatti.
L’atto sessuale è simbolico e non fisico.
Forse la domanda non era quanto siamo distanti ma quanto a fondo.
Da: Diario del sonno (Le Lettere 2021)
Ho sette anni.
Siamo nello studio. Luci puntate e buio. Con forza e fermezza il dottore mi strappa entrambi i lobi nei quali ho due grandi orecchini a cerchio. Mi scuoto, me ne andrei. Il dottore mi afferra gli avambracci e me li blocca sulla scrivania. Non posso muovermi. Senza fiato, ho paura.
*
Ho zero anni.
Perdo i denti. A volte anche i capelli. Mi smarrisco nei labirinti. Sono su una macchina che non so guidare e mi vado a schiantare. La folla. Cado col lettino dal ballatoio della nonna. Non sono in picchiata ma il letto si disfa progressivamente fino a quando l’unica protezione contro lo schianto è la mia impronta sul materasso. Polvere e cenere in turbini. Mi va malissimo il compito in classe di matematica che devo svolgere.
*
Ho sei anni.
Seduta settima: lei non affronta la realtà per timore del fallimento.
Se pubblicano me, devono valere poco. Non è che scappo dalla realtà per non subire fallimenti: scappo dalla realtà per non dovere rinunciare ai miei desideri.
Seduta ottava: lei non sente sue le opere che scrive.
*
Ho cinque anni.
La stanza è buia.
Richiude la porta e inizia a frustarmi con la cintura.
Provo ad accendere la luce, a trovarla ma non esistono spiragli.
Mi sforzo, le do tutto quello che ho.
*
Ho quattro anni.
Mi ama così tanto che si è fatto un calco della mia figa, dice che mi ama così tanto che non riesce solo a baciarla, a mangiarla ma deve sputarci dentro il cibo.
*
Sono un ingegnere civile. Ho smesso di leggere e scrivere quando avevo diciotto anni, ho ripreso a venticinque anni.
Ora ho quattro anni.
*
Cartolina.
Non ti hanno amato i tuoi genitori. Non ti ha amato, né ti ama tua moglie. Non credo tu abbia amici. Forse, ma non credo nemmeno questo, ti amerà l’altra tua figlia. Quella più piccola. Quella che le urlavi di fronte che non era figlia tua. Bestia.
Voglio questo odio perché è quello che ti meriti. Bestia. Tu non hai poco. Tu non hai niente. Forse sono io quella che non è figlia tua. Non ho nulla in comune con te. Forse non puoi capire. Ma su questo non mi sbaglio: guardati. Bestia. Guarda cos’hai costruito, quali sono i sentimenti di cui ti circondi. Bestia. Guardati intorno. Cosa vedi? Cos’hai alle spalle? Cos’hai fatto di buono in vita tua? Cos’hai imposto agli altri che sia stato migliore di quanto sia stato destinato a te? Io supererò questa malattia. Tu non avrai, e non avrai mai avuto, niente. Bestia. Idiota e cattiva. Avrai che ne parleranno i libri. Bestia. Io ti distruggo. E mi devi ascoltare. Perché tu hai nutrito il mio odio. Perché anch’io avevo il diritto di amare un padre. Bestia.
La vendetta mi permette di riequilibrare le ingiustizie della vita. Si rinsalda l’immagine alla realtà.
*
Ho ventisei anni.
Il ragazzo biondo triste, quello che mi precede durante le sedute, ha pianto. Aveva gli occhiali da vista in mano stavolta, mentre di solito li indossa. Inizialmente, dopo essermi chiesta il perché, avevo creduto che fosse per avere qualcosa da toccare mentre parlava. Ma i fazzolettini non sono mai in quella posizione. Sono sempre in quella posizione quando qualcuno ne ha bisogno.
*
Ho dodici anni.
Siamo su una nave affollata, il mare è grosso ma il cielo è bello. La nave ondeggia pericolosamente. Mi nascondo sotto una scialuppa di salvataggio, sto rannicchiata. La gente cade in mare, sotto questa scialuppa siamo in due, un uomo è dietro di me. Anche lui si bagna, stranamente io no, io resto asciutta.
L’uomo ammazza la donna e i figli. I soldati inglesi pestano a sangue i ragazzini iracheni. Le bambine coreane nel giro della prostituzione vengono vendute come vergini e durante l’amplesso infilano nella vagina pezzi di plastica taglienti. È l’alba.
*
Ho mille anni.
Un futuro possibile. In cui io il bambino e il suo papà facciamo il bagno in mare. La merenda con pane burro e marmellata. In cui ci si addormenta in un lettone tutti e tre abbracciati. Qualcosa di nuovo in cui cambia il mio ruolo. In cui non sono più un peso doloroso che deve affannarsi per non trovare amore.
Non sei figlia. Non sarai mai più figlia. Non sarai mai stata figlia.
*
Ho venticinque anni.
voglio morire voglio morire voglio morire voglio morire. Bruciare.
non so bene quello che voglio. Un coltello. In cucina, apro il cassetto, lo guardo. Chiudo il cassetto e me ne vado.
Ho tanta voglia di tagliarmi. Torno in cucina, apro il cassetto, prendo in mano il coltello. Non è molto tagliente. Non lascia segni. Lo ripongo, chiudo il cassetto.
Scappo in camera da letto, è la stanza più distante dalla cucina. Mi vedo nello specchio. Sto piangendo e ho il braccio destro davanti alla faccia.
Volevo tagliarmi ma i tagli superficiali fanno male comunque.
Torno in cucina, prendo il coltello e me lo porto in camera da letto. Lo guardo attraverso lo specchio sulla pancia nuda. Alzo lo sguardo e vedo questa faccia arrossata e gli occhi piccoli lucidi.
Non riesco a non guardarmi e vedo un mostro.
In cucina, butto il coltello, scappo in camera da letto.
Sul letto.
Adesso m’ammazzo.
Cerco un vincolo nelle lenzuola, avvolgermi e bloccarmi, immobilizzarmi.
Calmati, basta basta basta.
Devo chiudermi in camera e non ci sono chiavi. Anche in camera posso frantumare lo specchio e tagliarmi con quello. Spacca i piatti spacca i bicchieri ribalta la casa ma non farmi male perché non riuscirai ad ammazzarti e poi sarà peggio. Chiama Luca. Luca non risponde. Chiamalo finché non risponde ma lui non risponde. Chiama Sara. Fingo di avere una crisi di pianto e di non sapere perché. Rimango al telefono con lei. Sono frastornata. Torna Luca. Lo allontano.
Ho la manica sinistra totalmente strappata. Ho dei graffi sulla mano destra. Una rabbia incontrollabile. Non lasciarmi da sola mentre muoio. Ti prego. Ho paura di stare da sola mentre muoio. Uccidimi ti prego. Mi vedi? Riesci a vedermi? Allora se mi ami devi uccidermi tu, che da sola non ce la faccio.
È come essere bendati. Non ci sono limiti.
Oggi ho paura. La perdita di controllo mi fa paura.
L’unica cosa che sono, un animale che può provare dolore.
Quando penso sia il momento opportuno per fare un passo avanti, ogni volta, ne esco a pezzi.
PAOLA SILVIA DOLCI è nata a Cremona, 4 Novembre 1977. Ex Ingegnere civile. Copywriter. Diplomata presso il Centro Nazionale di Drammaturgia. Collaborazioni con riviste letterarie. È traduttrice e direttrice responsabile della rivista indipendente di poesia e cultura «Niederngasse». Ha pubblicato i volumi Bagarre, Lietocolle, 2007; NuàdeCocò, Manni, 2011; Amiral Bragueton, Italic Pequod, 2013; I processi di ingrandimento delle immagini, Oèdipus, 2017; Bestiario metamorfosi, Gattomerlino Superstripes, 2019 e Portolano, Mattioli1885, 2019.