Rocco Scotellaro | Poesie 1940-1948
LUCANIA M’accompagna lo zirlìo dei grilli e il suono del campano al collo d’un’inquieta capretta. Il vento mi fascia di sottilissimi nastri ...
LUCANIA
e il suono del campano al collo
d’un’inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d’argento
e là, nell’ombra delle nubi sperduto,
giace in frantumi un paesetto lucano.
(1940)
LE NENIE
i mulinelli spirati nella via.
Anch’io c’ero in mezzo
nei lunghi giorni di fango e di sole.
Mia madre dorme a un’ora di notte
e sogna le mie guerre nella strada
irta di unghie nere e di spade:
la strada ch’era il campo della lippa
e l’imbuto delle grida rissose
di noi monelli più figli alle pietre.
se senti la mia pena nei lamenti
dei cani che non ti danno mai pace.
E non andare a chiudermi la porta
per quanti affanni che ti ho dato
e nemmeno non ti alzare
per coprirmi di cenere la brace.
Sto in viuzze del paese a valle
dove ha sempre battuto il cuore
del mandolino nella notte.
E sto bevendo con gli zappatori,
non m’han messo il tabacco nel bicchiere,
come per lo scherzo ai traditori;
abbiamo insieme cantato
le nenie afflitte del tempo passato
col tamburello e la zampogna.
(1945)
IL PRIMO ADDIO A NAPOLI
a ridosso della Duchesca,
dove giovani diciassettenni e una zoppa
hanno un cantiere di camere
in portoni sporchissimi.
Il burattinaio è un vecchio
pescatore invalido.
Ognuno solo si preoccupa
del proprio oggetto da vendere.
Ognuno fa sentire la sua voce.
Io sono meno di niente
in questa folla di stracci
presa nel gorgo dei propri affanni.
Sono un uomo di passaggio, si vede
dal cuscino che mi porta
le cose della montagna.
Il treno al binario numero otto
ci vogliono ancora molt’ore
fin che stiri le sue membra con un fischio.
Non voglio più sentire queste rauche
carcasse dei tram.
Non voglio più sentire di questa città,
confine dove piansero i miei padri
i loro lunghi viaggi all’oltremare.
Ritorno al bugigattolo del mio paese,
dove siamo gelosi l’un dell’altro:
sarà la notte insonne nell’attesa
delle casine imbianchite dall’alba.
Eppure è una gabbia sospesa
nel libero cielo la mia casa.
(1946)
SALUTO
la figlia della quercia e della macchia.
Vestivi dei fiori delle ginestre
ridonate all’incolto pendio.
Inviolata eri e chiusa
come un acerbo fiorone.
Avevi l’occhio bianco dei faveti
spaurito, simile alle lepri
prese nel laccio delle mute.
Io quando t’assalii
sentii il tuo ventre ridere.
E le tue guancie arrossate
erano un altro selvatico fiore
lasciato a pascolo.
sei alla testa del corteo
delle vergini in veli,
e vai spargendo dai cesti
vessilli di ginestra, e madreselva
profumata d’incenso.
Io non ti voglio dire
quante strade odorose ho da fuggire!
(22 maggio 1948)
CAMPAGNA
e le nostre curve ombre
una nube lontano ci trascina.
Allora la morte è vicina
il vento tuona giù per le vallate
il pastore sente le annate
precipitare nel tramonto
e il belato rotondo nelle frasche.
(1948)
IL GIARDINO DEI POVERI
nel giardino dei poveri:
hanno rubata l’aria alle finestre
su due tavole hanno seminato.
verranno le mosche,
nel giardino dei poveri.
prendi la brocca in mano,
io ti vedrò cresciuta tra le rose
del giardino dei poveri.
(Potenza, 21 ottobre 1948)
LE VIOLE SONO DEI FANCIULLI SCALZI
i muri piovono acqua sorgiva
si scelgono la comoda riva
gli asini che trottano leggeri.
Le ragazze dagli occhi più neri
montano altere sul carro che stride
Marzo è un bambino in fasce che già ride.
che curvo sotto le salme di legna
recitavi il tuo rosario
lungo freddi chilometri
per cuocerti il volto al focolare.
ventila la mosca nelle stalle
e i fanciulli sono scalzi
assaltano i ciuffi delle viole.
(29 febbraio – 1° marzo 1948)
TARANTELLA
i panni neri sbiancano alle corde
ogni estate sull’aia fanno netto
il cane vecchio è quello che ti morde.
Suonano sempre le antiche zampogne
le cotogne ammolliamo nella brace
siamo tutti fratelli e stiamo in pace
e abbiamo tempo per il riso e per il pianto.
Io, non ho trovato la mia stella
non vuol dire se salto a tarantella.
(Tricarico, 18 febbraio 1948)
È UN RITRATTO TUTTO PIEDI
stanno seduti attorno la vecchia morta,
le hanno legate le punte
delle scarpe di suola incerata.
Si vede la faccia lontana sul cuscino
il ventre gonfio di camomilla.
È un ritratto tutto piedi
da questo vano dove si balla.
(1948)
INVITO
Nessun di noi ha cambiato toletta
e i contadini portano le ghette
di tela quelle stesse di una volta.
Oh! qui non si può morire!
Venite chi vuole venire:
suoneremo la nostra zampogna
soffiando nella pelle della capra,
batteremo sul nostro tamburo
la pelle del tenero coniglio.
(1948)
Da: È fatto giorno. 1940-1953 (Milano, Mondadori, 1954)
ROCCO SCOTELLARO è nato a Tricarico (Matera) nel 1923 da famiglia artigiana. Ha svolto un intenso lavoro sindacale e politico culminato nella sua elezione a sindaco. È morto a Portici, stroncato da un infarto, nel 1953 nel pieno degli anni e della sua attività di scrittore. Le sue raccolte di versi: È fatto giorno. 1940-1953 (Mondadori, 1954, 1982), Tutte le poesie 1940-1953 (Oscar Mondadori, 2004), Poesie (RCE, 2016). Altre opere (racconti, romanzi, saggi): Contadini del Sud (1954), L’uva puttanella (1955), Uno si distrae al bivio (1974), Margherite e rosolacci (1978), Giovani soli (1984), Lettere a Tommaso Pedio (1986), Scuole di Basilicata (1999), Il prezzo della libertà. Lettere da Portici (a cura di Pasquale Doria, 2015).