Lucio Giuliodori | Esperienze metafisiche esposte in evidenza: Elémire Zolla e la Tradizione.
«"Verità", come intende questa parola ogni profeta, ogni settario, ogni libero pensatore, ogni socialista, ogni uomo di Chiesa, è...
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«"Verità", come intende questa parola ogni profeta, ogni settario, ogni libero pensatore, ogni socialista, ogni uomo di Chiesa, è una completa dimostrazione del fatto che non si è ancora neppure intrapresa quella disciplina dello spirito e quel superamento di sé, che sono necessari per trovare una qualsiasi piccola, anche assai piccola verità».Friedrich Nietzsche, L’Anticristo.
1. Introduzione
La parola «tradimento» presenta la stessa radice del termine «tradizione» derivante dal latino tradere, ossia trasmettere. In Che cos’è la tradizione Zolla fa notare come paradossalmente tra i due vocaboli non ci sia molta differenza: trasmettere una tradizione è tradire un segreto. I frammenti di sapienza, che si perdono in una sacralità staccata dal tempo1 diventano così, parafrasando il titolo di una celebre opera zolliana, verità segrete esposte in evidenza. «Molte delle nozioni fondamentali sulle quali si erge la scienza moderna erano conosciute e tenute discretamente velate in antico»2. Ruggero Bacone a tale proposito ebbe ad affermare: «Il motivo di tenere oscure al volgo le cose segrete fu presso tutti i sapienti il fatto che il volgo deride coloro che sanno e trascura i segreti della sapienza e non sa usare di cose altissime, e se alcunché di magnifico viene per caso a sua conoscenza, lo perverte e ne abusa in danno molteplice e delle singole persone e della comunità. E perciò insano è colui che scrive alcunché di segreto, a meno che non lo scriva in modo che stia celato al volgo e possa solo a gran pena esser compreso dai sapienti»3. Le varie verità, cercate e ricercate da Zolla nei più disparati periodi storici, nei più (apparentemente) diversi contesti filosofici, mistici ed iniziatici sparsi nel pianeta, compongono il corpus di un’eredità culturale e umana di preziosissima ed infinita ricchezza, la quale, più o meno celatamente, prende il nome di Tradizione.
«L’opera di Zolla scrittore e pensatore trae il suo più originale valore dall’idea da lui arditamente ribadita che le antiche vie di conoscenza di Oriente e Occidente e la sapienza indigena possiedano le chiavi di accesso per l’uomo di ogni latitudine a una realizzazione piena e completa di se stesso all’interno di una società planetaria fruitrice di sempre maggiori e unificanti benefici tecnologici»4.
Questo l’a priori della filosofia: la realizzazione piena e completa di sé. La verità come esperienza: questo racconta la Tradizione sapienziale evocata da Zolla, un ordine metafisico integrale e concreto per dirla con Florenskij.
Il significato del concetto di Tradizione, di importanza capitale, permea in maniera vigorosa la Weltanschauung di Elémire Zolla, corroborandone le fondamenta e palesandosi sia quale sua premessa intrinseca sia quale meta ideale di un percorso che è insieme intellettuale e iniziatico. Anche se essa incide, più o meno velatamente in quasi tutta l’opera zolliana dagli anni Sessanta in poi, alcuni lavori ne offrono un approfondimento maggiore, essi sono: Le potenze dell’anima (1968) I letterati e lo sciamano (1969), Archetypes (1981, tr. it. 1988), Aure. I luoghi, i riti (1985), Le meraviglie della natura. Introduzione all’alchimia (1975), Le tre vie (1995), La filosofia perenne (1999) e Verità segrete esposte in evidenza (1990). Ovviamente l’opera che affronta il tema in maniera frontale è Che cos’è la tradizione (1971), nella quale la critica alla modernità è propedeutica al significato stesso di Tradizione5.
La modernità per Zolla rappresenta l’apice di un dramma, l’esito catastrofico di una caduta, la quale ha realmente trasmutato in diabolico – Zolla parlerà a tutte lettere di civiltà del diavolo – ciò che ai primordi era a contatto col divino: «Può capitare che un certo tratto di storia, come quello dell’Occidente dal Medioevo a oggi, illustri come parabola questa discesa dalla Tradizione ad una mera trasmissione di puerilità, il cui grado di essere è minimo»6. Si pone dunque il problema, cruciale e definitivo, della scelta: «La civiltà occidentale guardata sotto questo profilo è un campo dove l’uomo si trova a scegliere fra due tradizioni opposte e non conciliabili se non attraverso la mediazione o della viltà o dell’onnubilamento concettuale: la Tradizione metafisica da un alto e quella storicistica ovvero distruttiva dall’altro. Senza tradizione nessuno vive, come è vero che nessuno si è creato: si ha solo la libertà di scelta fra la Tradizione rivelata e la Tradizione che nega il rivelatore»7. Se è evidente che tale scelta è di fatto una critica - svelare la Tradizione implica l’ineluttabile riflesso del suo opposto – essa però inevitabilmente reca seco l’aspetto edificante, determinante le fondamenta della Via da seguire:
«Non esiste un bene terrestre che la mente guidata dalla Tradizione non critichi mostrandolo fallace, in divenire, menzognero. La critica pertanto è funzione della Tradizione. Più si è legati alla Tradizione, meglio si critica; la capacità di critica universale è la prova dell’aderenza alla Tradizione, la quale per additare all’eterno deve mostrare come quanto diviene non sia. […] Ma la Tradizione mentre critica e distrugge, loda e edifica altresì, essendo in essa l’aspetto del Rigore complementare all’aspetto della Clemenza. Sì, ogni cosa transitoria è un inganno, tuttavia nel contesto delle cose adiacenti avvicina o allontana dall’intuizione dell’essere perfettissimo e, nella misura in cui a quell’essere addita, ne coglie un riflesso. […] La via tradizionale è dunque insieme salvaguardia e sconfessione della critica, in ogni cosa mostra la miseria, la precarietà ma vi ravvisa nel contempo un grado di essere: dissolve esaltando ed esalta dissolvendo»8.
1. Tradizione, anti tradizione, misticismo.
Al quanto provocatoria risulta agli occhi della cultura dominante, durante gli anni della contestazione, la riflessione zolliana attorno ai temi della Tradizone e della Philosophia perennis. Promuovere la contemplazione9 e la dimensione sovrarazionale nei tempi del trionfo materialista, oltre che scomodo, apparve sacrilego. Scrive a tale proposito Grazia Marchianò: «Com’è noto la critica zolliana del moderno nei toni al diapason negli anni che preludono al Sessantotto, nasceva dall’esame circostanziato di ciò che nella sua visione del divenire storico si staglia come l’immagine capovolta della modernità: la Tradizione. Per lui la tradizione con la T maiuscola è da intendersi alla maniera di Clemente Alessandrino come una trasmissione conoscitiva di verità sofianiche (paradosis gnostikè), da assorbire e praticare metodicamente in vista di una purificazione interiore»10. Puntualizza metaforicamente Zolla:
«Nei sogni è comune l’angoscia di avere vicino un oggetto e stendere invano la mano ad afferrarlo di dover dire una risolutiva parola ed accorgersi che essa non si forma nella gola. L’uomo moderno è un tal sognatore, che non riesce a raggiungere la cosa necessaria, non sa dire la parola liberatrice e ignora che cosa glielo impedisca».11
Nell’intento di “spiegare” che cos’è la Tradizione, il filosofo non può specularmente non mostrare ciò che la ostacola e da sempre per altro la occulta: l’anti Tradizione, corpo e voce della modernità.
«La pietra metaforica attorno alla quale il pensiero di Zolla ha ruotato è un prisma a molte facce e ognuna di esse, nel corso del tempo, ha inalberato, per così dire, una diversa parola-chiave. Negli anni dello sgretolamento sistematico dei valori, deflagrato nel Sessantotto, la parola-chiave era stata «tradizione»: l'unico punto d'appoggio, dichiarava, per chi voglia sottrarsi all'inquinamento morale e alla pianificazione totalitaria, comportati dal progressismo moderno»12.
La critica al mondo moderno rappresenta quella che viene definita la pars destruens del suo pensiero, relativa alla prima fase della sua opera13, in cui il filosofo, allineandosi in parte agli influssi della Scuola di Francoforte, smonta tassello per tassello l’impalcatura di quella modernità già criticata sotto una simile prospettiva da altri tradizionalisti quali Guenon14 e Evola15.
Zolla dunque riprende certe tesi della Dialettica dell’Illuminismo di Adorno e Horkheimer16 e le sviluppa modellando una critica serrata alla società del suo tempo, schiava - e a sua volta schiavizzante - del consumismo, della mercificazione e dell’appiattimento morale, politico e culturale di un’epoca che ancora oggi continua a riproporre la sua imbarazzante presenza, confermando l’attualità delle tesi zolliane. In Eclissi dell’intellettuale, del 1959, Zolla scrive: «La nuova società accentua il processo di mercificazione della vita e non apre l’orizzonte ad altro fine se non l’accrescimento della produzione; il suo ideale umano è lo specialista efficiente e consumatore cospicuo, che non ha una sua gamma di predilezioni differenziate, ma si adegua docilmente alle tendenze della produzione» 17.
Le leggi di mercato e i mass media preordinano stili, pensieri e comportamenti di un essere umano che crede di essere libero, solo perché non riesce più ad immaginarsi la libertà, le sue catene sono infatti invisibili, la società si è ora evoluta, diabolicamente come giustamente sottolinea Zolla, e la sua azione di livellamento mentale è diventata scientifica: non ha più bisogno di reprimere l’uomo attraverso plateali violenze fisiche o morali, non servono più i dogmi ecclesiali o i roghi, bastano i mass media. Non si toglie più la libertà all’uomo ma lo si convince, subliminalmente e subdolamente, di essere già libero. Questa è la civiltà del diavolo18: «E’ necessario infatti avvedersi (ciò che molti ancora ripugnano a fare) che la civitas diaboli non si avvale più delle vecchie armi , dall’oscurantismo reazionario al dogmatismo ecclesiastico all’astrattezza terroristica rivoluzionaria, ma per la sua persecuzione fanatica della libertà e dell’umano non ha più bisogno di chiedere soccorso a sofismi plausibili, ovvero a un’arma infida tra le sue mani, poiché ormai dispone di un apparato industriale, un’Alcina che quietamente seduce le sue vittime sussurrando: “io ammazzerò il vostro tempo”»19.
Dall’anti Tradizione tuttavia ci si può salvare proprio uscendo dal suo tempo: se infatti questa è la società e questa vuole essere, diventa necessario viverci invisibilmente, staccandovisi, trascendere il suo tempo, pur condividendone lo spazio. Similmente pensava l’indiano della tribù Makah, Clyde Warrior incontrato da Zolla nel New Messico, il quale, tentando di difendersi dal «prograss» degli europei e della loro “civiltà”, disse: «Noi non ci proponiamo di rivoluzionare la società. Se la società ci lasciasse in pace ce ne disinteresseremmo»20.
Nell’ambito di tale insanabile frattura rientra la critica zolliana a certo modo d’intendere la psicanalisi. Se infatti questo modo di concepire il mondo è diabolico, se questa società è dis-umana, cadono da sé le fondamenta di chi vorrebbe riconciliare l’uomo con essa, cadono i presupposti di definire entro i suoi parametri la presunta follia o normalità di un individuo già comunque alienato, in quanto parte di essa. E’ la società a non essere normale non l’individuo ad essa già estraneo: «Morbosa è anzitutto nella psicanalisi volgare, la mancanza di un’idea dell’uomo normale, l’assenza, cioè, d’un centro, e ancor più morbosa la rude teoria che vuole sano colui che non abbia atteggiamenti critici verso la società in cui si trova a vivere»21. Criticare insomma, per siffatta maniera di concepire il mondo, è già una forma di patologia mentre invece secondo Zolla, patologica è proprio l’urgenza di ricondurre tale presunta patologia a normalità, un volgare soffocamento di una possibilità di volontà critica, creativa e intellettuale. Il filosofo Hervé Cavallera, nel saggio Elémire Zolla, la luce delle idee, sottolinea: «Il problema è allora rendersi conto che proprio la riduzione della normalità ad accettazione acritica del presente è ciò che dev’essere contestato, laddove invece l’individuo, sia come singolo, sia come massa, è esposto alle leggi dell’industria culturale, alle leggi del mercato, ossia è un soggetto falsamente pensante, preda di un sistema che, volendo essere liberatorio, lo soffoca consegnandolo totalmente ai condizionamenti di quello che si sta manifestando come mercato globale, in cui le stesse emozioni vengono suggerite, indotte, dirette»22.
Se Adorno e Horkheimer si sono fermati alla constatazione di tale fenomeno23, Zolla va oltre, definendo ciò che è normale: è normale «lo stato mistico», lo stato che precede la caduta volgare dalla metafisica alla mercificazione dell’essere umano, esistenziale prima che sociale e culturale, per questo patologica, non normale, non collimante con la natura mistica dell’uomo. Zolla torna su tale opposizione anche in Archetipi, contrapponendo nettamente lo stato mistico del samâdhi al suo opposto, quello nevrastenico: «Il rovescio del samâdhi è ciò che i vecchi psichiatri chiamavano nevrastenia, l’indugio accigliato e penoso sulle cose, che ogni sensazione centellina e cincischia, su ogni immagine vagabonda indugia: non c’è circolazione, nitore mentale, e la psiche si smarrisce in un’incessante fantasticheria»24.
La tesi di Zolla è netta e schiacciante: lo stato normale dell’uomo è lo stato mistico. E infatti: «Dal punto di vista metafisico non c’è patologia»25. A tale proposito Flavio Cuniberto afferma: «Normale nel senso di quello che la tradizione cinese chiama l’”uomo vero” e quella ebraica l’ “Adam Kabmon”, ossia l’uomo integrale, lo stato umano nella sua integrità. Ma la forza di quell’enunciato stava nel prendere a contropelo il senso comune e soprattutto l’idea patologica dello stato mistico avanzata dalla psicanalisi. Perché è patologica se mai la caduta dallo stato mistico, l’incapacità di ripristinarlo. E’ patologica in altre parole quella condizione moderna in cui lo stato mistico appare come patologico»26. E infatti: «Lo stato mistico come norma dell'uomo è riconosciuto come la pietra di volta di un sistema che d'ora in poi si richiamerà ai valori perenni della tradizione»27. «L’io del mistico non coincide con l’immagine di sé o nozione della propria persona, perché il mistico non è affatto privato di questo fondamentale dato dell’orientamento. […] Sicché la morte dell’io a cui tende il mistico è la morte della personalità corazzata, preoccupata della propria immagine; e la sua rinuncia al discorso è la stessa del terapeuta che sa quanto sia inutile una conoscenza esclusivamente raziocinante e discorsiva dei vizi psicologici»28.
Dall’anti Tradizione alla Tradizione dunque, dalla patologia alla mistica normalità: «Il misticismo è la ripetizione in una civiltà non più corale, dell’esperienza iniziatica: è un ritorno alla tradizione in senso proprio, ricordo involontario di cosa sepolta. […] Il misticismo distacca dalla fonte stessa delle civiltà moderne: dal desiderio di accumulare ricchezza e prestigio sociale»29. In Le meraviglie della natura, al misticismo Zolla affianca l’alchimia: «Sicché purificando e plasmando un metallo si sta perfezionando se medesimi. Il linguaggio alchemico e quello mistico infatti coincidono punto per punto […]. Alla fin fine, in una civiltà assetata dell’eterno ritorno, lo scopo delle arti alchemiche è la liberazione. […] Il fine della trasmutazione interiore fu certamente l’ultimo e il primo dei fini, ed è l’unico che spieghi la differenza tra alchimia e chimica. Le invenzioni chimiche nel corso dell’opera sono eventuali, secondarie. La stessa trasmutazione del mercurio in oro è secondaria rispetto alla morte in vita»30.
2. La Tradizione come Via Iniziatica.
Nel restituire all’uomo la normalità che gli appartiene, nell’individuare il misticismo quale veicolo precipuo di conoscenza tradizionale, cioè metafisica, che salda insieme percipiente e percepito, Zolla è portato a definire la morfologia spirituale dell’essere umano e lo fa nell’anno della contestazione. Al culmine del trionfo materialista, nel 1968, esce Le potenze dell’anima31, opera nella quale il filosofo distingue le tre parti fondative, generalmente riconosciute, dell’essere umano: corpo, ragione e anima. Per molti individui esse sono fonte di infelicità e una loro armonizzazione risulta ardua se non impossibile dal momento che l’essere umano stesso ha tributato un culto a ciascuna di esse: il materialismo, lo scientismo e il sentimentalismo. «I riflessi dell’uomo moderno sono stati condizionati al punto “da trasformare la sua interiorità in una replica fedele di quel triangolo carcerario”: una condanna a vita»32.
A tale proposito Cavallera scrive: «Nei giorni in cui le folle studentesche, operaie o quant’altro, ideologicamente dirette, inneggiavano a Mao, Marx e Marcuse quali profeti dell’imminente mondo venturo, la voce di Zolla appare tremendamente aristocratica nel momento in cui dice a chiare lettere che il senso della vita e il suo significato non hanno un fine pratico. E’ veramente un uscire dal mondo, da un certo mondo almeno, ricordando che la molla dell’utile non è altro che opera diabolica, ultimo momento di una tragedia che ha già avuto i suoi effetti nella ghigliottina illuministica. In questo particolare momento Zolla appare come un filosofo che rincontra ciò che è sempre stato: la tradizione»33.
Dalle parole dello stesso Zolla: «La Tradizione è presente in tutti coloro che non abbiano chiuso l’uomo nella prigione dei sensi, dei sentimenti e dei raziocini, ma hanno riconosciuto un’intuizione intellettuale di verità sottratta al tempo e allo spazio»34. La conoscenza tradizionale, in quanto vera e propria Via Iniziatica, implica un percorso di purificazione interiore: per cogliere il mondo esteriore nella sua vera realtà, nella sua quiddità, bisogna prima ripulirsi dentro, affinando uno strumento che non è più solo percettivo ma intuitivo, metafisico: «Conoscenza tradizionale è quella che rifiuta di lasciarsi chiudere nella prigione della storia e della società. Il nome si trova in Clemente d’Alessandria, parádosis gnostiké, «tradizione conoscitiva». Non è la solita conoscenza, poiché per coglierla, Clemente insegna, bisogna «aver sgombrato le spine ed ogni erbaccia», cioè essersi purificati; quindi si può passare allo sguardo contemplativo (epopteìa) sulla cosmogonia, sulla creazione del cosmo»35. Solo muniti di tale sguardo, vera e propria potenza dell’anima, è possibile schivare gli «attacchi demoniaci» della civitas diaboli: «Soltanto mercé la conoscenza tradizionale si può intendere la demonicità: la forza che sentiamo operare con intelligenza e volontà a impedirci il passo, allorquando procuriamo di purificare il sentire e la mente per accedere appunto a quella conoscenza. Chi non abbia mosso un passo in quella direzione, nemmeno può aver notizia sperimentale di quella presenza avversa»36. «Nello stato primordiale, per l’uomo conta la quiete interiore non deturpata da passioni personali o collettive, da immagini arbitrarie o da futilità, poiché per esperienza egli sa che ripulendo l’anima fino a renderla specchiante si acquista preveggenza, giustizia (quale arte di assegnare ad ogni cosa il suo luogo naturale), indifferenza regale»37.
La purificazione e il potenziamento dell’anima è però un percorso da compiere, un’opera in cui cimentarsi, un’esperienza che, proprio in quanto tradizionale, risulta inassimilabile concettualmente, tuttavia Zolla affronta l’indefinibile in Che cos’è la Tradizione. Essa rappresenta una svolta nel pensiero del filosofo torinese, il quale, da questo momento, dà voce a ciò che intrinsecamente è indicibile: non si tratta più di spiegare ma mostrare, evocare, scuotere, poiché l’intuizione intellettuale è sovrarazionale e la filosofia perenne non può essere spiegata. Il salto è vertiginoso, Zolla compie un «balzo controcorrente»38, staccandosi dalla critica al fanatismo ideologico di quegli anni, per elevarsi a ciò che ampiamente la trascende, poiché ad essa ontologicamente anteriore: la Tradizione e il suo svelamento. «Nel momento in cui Zolla si distacca dal suo tempo emerge la comunicazione come discorso sapienziale. Non c’è più ragione di conservare aspetti quasi didattici, come è ancora sino a Le potenze dell’anima. Se la conoscenza, è intuizione è inutile sforzarsi di spiegare a chi non vuole intendere: basta mostrare a chi vuol capire»39.
«La tradizione», scrive Zolla, «è la trasmissione dell’idea dell’essere nella sua perfezione massima, dunque di una gerarchia tra gli esseri relativi e storici fondata sul loro grado di distanza da quel punto o unità. Essa è talvolta trasmessa non da uomo a uomo, bensì dall’alto; è una teofania. Essa si concreta in una serie di mezzi: sacramenti, simboli, riti, definizioni discorsive il cui fine è di sviluppare nell’uomo quella parte o facoltà o potenza o vocazione che si voglia dire, la quale pone in contatto il massimo di essere che gli sia consentito, ponendo in cima alla sua costituzione corporea o psichica lo spirito o intuizione intellettuale»40. La Tradizione dunque, rivelata nella consapevolezza della metafisicità intrinseca all’essere umano stesso trascende le differenze storiche, culturali o geografiche, assumendo una (quarta) dimensione che di fatto è metastorica e metafisica: è perenne. In quanto svelamento di una conoscenza inoltre, quella suprema, la Tradizione coincide anche con una filosofia: «Nella sezione che accoglie gli scritti sull’India e Bali, si ha la misura e la prova di dove Zolla attinse l’acqua di vita che dissetò il suo spirito assetato di infinito, pilotando la mente a ruotare in modo imperterrito attorno a una pietra che assunse nei suoi scritti nomi diversi: ‘tradizione’, ‘esperienza metafisica’, ‘filosofia perenne’, ‘liberazione’, ‘elisir’, ma che pietra rimase nel suo incorporare un grappolo di valori immanenti al divenire storico e perciò extrastorici e metafisici»41. «Questa filosofia perenne fu formulata sin dai primordi delle civiltà occidentali nel pitagorismo e via via nei secoli è affiorata in modo compiuto o parziale, sempre comunque costretta a mascherarsi dietro le persuasioni dominanti»42, sempre costretta a nascondersi, oltre i suoi significati.
Grazia Marchianò definisce la Tradizione, quale Zolla la intese, come «un insieme di conoscenze, di simboli presenti in ogni popolo e in ogni tempo, nel sogno e nella veglia dell'uomo: solo grazie ad essa si può vincere i limiti dello spazio e del tempo e si può giudicare la storia, la quale altro non è che un affiorare o un celarsi della Tradizione. Essa è l'unico punto d'appoggio per chi voglia sottrarsi al progresso verso l'inquinamento totale o la pianificazione totalitaria»43. La Tradizione è dunque la Via Iniziatica da seguire affinché l’essere umano si svincoli dalla contingenza storica e fenomenica acquistando una conoscenza che è intrinseca al reale, parte di esso, sua coincidenza perfino, in quanto essa è appunto celata o affiorata nella storia. Proprio per questo essa rimanda ad una filosofia perenne: «La metafisica unitaria a cui si addita si potrà chiamare altresì “filosofia perenne”. Filosofie equivalenti sorte in paesi diversi possono chiamarsi infatti così, con un’espressione di Leibniz e, ancor prima, di Bacone ma inventata da Agostino Steuco, canonico lateranense nato a Gubbio nel 1497, pervaso dall'idea di pia filosofia enunciata da Marsilio Ficino e dal Pico»44.
«Ma la tradizione per eccellenza, cui compete per l’esattezza e non per accoglimento rettorico la maiuscola, è la trasmissione dell’oggetto ottimo e massimo, la conoscenza dell’essere perfettissimo. Questa la Tradizione superiore ad ogni altra perché logicamente anteriore, implicita anzi nello strumento stesso d’ogni trasmissione, il linguaggio»45.
Scrive infatti Zolla ne La filosofia perenne: «Ci si trova dinanzi a un dilemma che sorge soltanto dall'incapacità di concepire la radice della realtà fisica il piano fondativo, metafisico, dove non sussistono né spazio né decorso di tempo e che costituisce la premessa metafisica dove tutte le religioni e tutte le filosofie possono unificarsi: soltanto la filosofia perenne lo convalida, avvertendo però che l'espressione verbale non può sperare di tradurlo in linguaggio»46.
In quanto metastorica e metafisica essa è dunque anche metalinguistica, cioè indicibile, essa descrive infatti l’essere supremo, la cui descrivibilità trascende le possibilità stesse del linguaggio. «Stranamente amputato, alienato dall’essere pieno è colui il quale s’illuda di trovare tutta espressa la Tradizione in discorsi parlati o scritti: essa incomincia a brillare soltanto quando il discorso viene sentito come un velo che copre e perciò indica sì, ma celando»47. Si tratta dunque di «una filosofia che smentisce la parola: la parola non è l’unico tramite, chi crede alla filosofia perenne sopporta di enunciarla a parole con fastidio, perché essa rinvia a un’intellezione che la parola può soltanto tradire. D’altra parte il modo in cui si espone è sempre innovabile e trasformabile: la parola è sempre inganno»48.
Congenitamente occulta, la Tradizione parla a chi la sa ascoltare, spiega a chi sa intendere, rivelandosi quale tesoro destinato ad un cammino prettamente elitario.
Scrive Zolla: «La Tradizione è presente in tutti coloro che non abbiano chiuso l’uomo nella prigione dei sensi, dei sentimenti e dei raziocini, ma hanno riconosciuto un’intuizione intellettuale di verità sottratte al tempo e allo spazio»49. E infatti: «Il piano comune a ogni tradizione, universale, è l’uguale idea dell’uomo come essere che si completa soltanto, di là dal proprio corpo e dalla propria psiche, nell’intelletto attivo, nella beatitudine»50.
Scrive Angelica Palumbo, ex allieva di Zolla all’Università di Genova: «Il punto fermo del mondo-vortice esprime, nella perfetta coincidentia oppositorum, il correlativo oggettivo delle uscite dal mondo al centro della metafisica zolliana. E’ il semplice stacco dell’esistenza, inteso come unità senza tempo in cui ogni opposto, il principio e la fine, si compenetra, l’impersonale congedo che, liberando la persona dalla percezione, riconosce l’unità intrinseca del sognatore col sogno. La scuola di Elémire Zolla, volta ad indagare la portata universale dei simboli e degli archetipi rivelatori della profondità delle cose inerenti alla Tradizione, addestrava a volgere uno sguardo analogico sul reale nell’insieme dei suoi aspetti»51. Scrive Grazia Marchianò: «Nei suoi peripli della mistica pagana e cristiana, delle pratiche estatiche nelle culture sciamaniche dell'America indigena e in Asia, dell'alchimia vista come metafora del processo spirituale di morte e resurrezione, della gnosi, della cabbala, degli esoterismi di Oriente e Occidente Elémire Zolla era stato ardito come solo uno che ha visto in faccia la propria morte sa esserlo in pieno. Domandandosi perché il Talmud accosti teschio e fallo, aveva compreso che la cognizione degli antipodi si ottiene al prezzo di traversare la notte dell'anima, e se la sete di sapere sconfigge la paura, l'accesso alla camera segreta dove gli antipodi si toccano non è negato»52.
Nell’opera Le meraviglie della natura, Zolla pone una domanda fondamentale, una domanda che desta meraviglia, che sfida i segreti stessi della natura, e che dunque dovrebbe sedurre i medesimi pensatori che s’interrogano al riguardo: «Sapienza è guardare alle alternanze degli elementi dietro il gioco delle figure di questo mondo. La Natura naturante o Sapienza si guarda allo Specchio della natura naturata, del mondo visibile. Si può imparare noi a vedere lo spettacolo del cosmo come uno specchio in cui si riflette la Sapienza?»53
La risposta a tale quesito svela la Via (iniziatica) verso ciò che la Tradizione rappresenta. E’ importante comunque notare che quando Zolla parla di Tradizione, in realtà parla di tradizioni, infatti al di là di ogni confessionalismo e in virtù del sua matrice fortemente sincretistica, il pensiero di Zolla è una proiezione costante verso la ricerca della verità, la quale non può che essere sparsa e diffusa attraverso i secoli, le religioni, le esperienze sciamaniche, mistiche e iniziatiche che non appartengono ad una cultura, ad una latitudine, ad un’epoca ma semmai scorrono, a tratti celate a tratti esposte in evidenza, nei meandri di quella filosofia perenne, la quale proprio perennemente accompagna e propone il vero. La Tradizione è la storia di questo viaggio al di là del tempo, di cui l’esperienza metafisica ne è il «Testimone». A tale proposito Zolla pone ulteriori quesiti, tanto evocativi quanto edificanti ai fini di un’inevitabile approccio sincretista:
«Molte tradizioni affermano di esaurire la Tradizione. Si paragoneranno dunque al numero trans-finito, il quale si definisce come tale che la sua minima espressione contiene tutta la serie dei numeri finiti? Oppure non sarà a dirsi che immaginare una scelta fra Tradizioni è già aver smarrito l’incarnazione predestinata della Tradizione? L’idea dell’essere perfettissimo non implica la Rivelazione primordiale o primitiva, dalla quale promanano tutte le tradizioni storicamente note? E non vengono di qui le coincidenze fra l’una e l’altra, le ricorrenze degli archetipi tradizionali, talché i Padri parlano del cristianesimo precristiano e della cristianità come corona alla rivelazione primitiva? Se si definisce la Tradizione come l’insieme degli atti onde si trasmettono i mezzi adatti a propiziare l’intuito dell’essere perfettissimo, quali Scritture e commenti, riti, modi di orazione e precetti morali […], allora tutte le tradizioni, di qualsiasi oggetto, si pongono nella prospettiva di quella misura eterna»54.
E ancora, continua Zolla: «l’esperienza del divino, e la moralità che ne proviene come sua ombra, può calarsi in diversi destini, senza che l’incontro esplicito o consapevole con il Cristo ne debba far parte, e che viceversa un tale incontro, ma del tutto privo di forza trasformatrice, può certamente appartenere a un desiderio dannato»55. Di conseguenza: «Il piano comune a ogni tradizione, universale, è l’uguale idea dell’uomo come essere che si completa soltanto, di là dal proprio corpo e dalla propria psiche, nell’intelletto attivo, nella beatitudine»56. A tale proposito, Grazia Marchianò puntualizza: «Non appena ci si avvede che la percezione della distanza è amministrata dalle norme dell’ottica mentale e che ciò vale nondimeno nei riguardi delle filosofie e delle fedi, la via è aperta a scorgere nei sistemi di pensiero e nelle religioni attecchite in ogni civiltà della terra, altrettanti e individuali veicoli di una verità originaria, universalmente comune»57. E nella biografia Il conoscitore di segreti aggiunge: «Nella fase conclusiva del pensiero zolliano i concetti di tradizione, esperienza metafisica e mente naturale trovarono stabile terreno di accoglienza nel contesto del sincretismo, visto da Elémire Zolla come l'orizzonte filosofico nel quale s'annodano e al quale affluiscono tutti quegli insegnamenti e quelle correnti di pensiero che nonostante le diversità culturali intrinseche a una civiltà planetaria fanno capo a una soggiacente e unanime metafisica unitaria»58.
In conclusione, il ritorno alla quiete, alla contemplazione e alla Tradizione posero di fatto Zolla fuori dal suo tempo, le sue affermazioni, in quegli anni, furono ovviamente fraintese, rifiutate, svilite.
Zolla appare quasi un tradizionalista di destra al pari di Evola, mentre invece nel modo di intendere la Tradizione del filosofo torinese, non viene richiesto un impegno politico – il rifiuto del dogma dell’azione59 è chiarificatore in questo senso e la distanza con Evola evidente. Afferma infatti Zolla: «Sono stato sempre alieno dalle imposizioni marxiste o fasciste, la mia mente ha spaziato senza impedimenti» 60.
Il Tradizionalismo di Zolla per altro si distanzia anche da quello di Eliade, secondo cui la Tradizione rimarrebbe celata, mascherata nei secoli, quindi rievocabile. A differenza dello studioso rumeno, Zolla afferma che la Tradizione è essenzialmente scomparsa nel mondo moderno, un mondo che di fatto l’ha cancellata.
Purtuttavia però, non è scomparsa per l’iniziato, quanto per l’uomo-medio della modernità: «Eppure la Tradizione, benché ora perseguitata con minuziosi eccidi, ora scoraggiata con l’applicazione di misure più blande, ma forse ancora più insidiose, villipesa comunque da quasi tutti almeno dalla fine del Settecento ad oggi, sopravvive. Sopravvivenza chiaramente miracolosa, che dovrebbe comprovare la sua natura intangibile nelle vicissitudini contingenti della nostra storia. Allorquando l’intera società era dominata dalla tradizione al massimo limite consentito dalla debolezza umana, al tempo in cui l’intera città si dedicava all’erezione della sua cattedrale, anche allora la tradizione dell’antitradizione reggeva, clandestina, inestirpabile, nell’esatta condizione odiata, perseguitata e invincibile nella quale oggi si trova il fedele della Tradizione»61.
La Tradizione, quale la intese Zolla, è una sinfonia perenne di indicibile bellezza che permane indissolubile attraverso i secoli nella propria identità trans storica; inattingibile concettualmente, essa fonda uno «spazio» metafisico esperibile solo in interiore homine: «Zolla insegna a uscire dal mondo, da questo mondo, a tendere alla perfezione attraverso il misticismo, ormai smarrito dall’Occidente, ma ancora presente nella cultura orientale. Non mira alla salvezza collettiva, di massa, che reputa ovviamente un intento velleitario e demagogico, ma a quella della persona, del saggio. E come avvertiva la filosofia dall’antichità ai tempi moderni, una iniziazione in cui la gnoseologia è tutt’uno con la metafisica»62. Questo nella consapevolezza che è nell’individualità che si decidono le sorti di ciò che esiste «fuori», è nel mondo interiore che si crea, «alchemicamente», il mondo esteriore: «Dalla trasmutazione dell’interiorità umana tutto dipende? Dall’ordine dentro di me dipende quello del mondo attorno a me? Se io divento pura e infinita luce, la materia attorno a me sarà del pari trasmutata: dal mio carattere dipende il mio destino, dal mio cuore il mio ambiente. I miei peccati sono lo spessore e l’asperità del reale. Ardua, esoterica verità!»63
1.- «Nel mondo antico il tempo era incentrato su un fatto che lo spezzava e ricapitolava: l’incarnazione dell’eternità». E. ZOLLA, Che cos’è la Tradizione cit., p. 68.
2.- Ibidem, p. 70.
3.- R. BACONE, I segreti dell’arte e della natura e confutazione della magia, Spartaco Giovene, Milano 1945, pp. 52-53.
4.- G. MARCHIANÒ, Il conoscitore di segreti. Una biografia intellettuale, Milano, Rizzoli 2006, p. 174.
5.- «Che cos’è la Tradizione è un classico. Appena dopo il 68, momento storico di cui sempre poi deprecò “la stoltezza totale e senza ideologia”, Zolla era “impensierito” dalla depravazione circostante, annunciata per altro dalla rivoluzione culturale in Cina e dal suo furore distruttivo delle tradizioni universitarie, artistiche, professionali, familiari non solo cinesi ma anche del Tibet, sulla cui tragedia solo oggi vengono proposti al grande pubblico libri e film tardivi, retorici e ridicoli. Invece il provocatorio libro di Zolla uscì nel 71, per raccontare “ciò che poteva apparire limpido e fermo”, almeno nella storia dell’Occidente. “ne feci” scrive “il centro d’un mandala». S. RONCHEY, Il filo gnostico nella tradizione greco-cristiano-bizantina, in “Viátor”, Elémire Zolla dalla morte alla vita, a cura di Grazia Marchianò, Anno IX 2005/2006, p.112.
6.- E. ZOLLA, Che cos’è la Tradizione, cit., p. 136.
7.- Ivi, p. 147.
8.- Ivi, p. 143-144.
9.- Interessante a tale proposito il parallelismo tra contemplazione e creazione in Verità segrete esposte in evidenza: «Il contemplativo è il pastore, il cane dei proprio pensieri, un impassibile testimone, che li valuta, li trasceglie: sua metafora è il diavoletto di Maxwell che inverte l’entropia. La vita contemplativa è la vita vivente, la vita nella sua essenza. Il contemplativo ripete l’atto creatore di vita». E. ZOLLA, Verità segrete esposte in evidenza (1990), Marsilio, Venezia, 2003, p. 106.
10.- G. G. MARCHIANÒ, L’ordine sacro del cosmo: l’imperativo smarrito. Posizioni a confronto: Eliade-Zolla-Culianu con un’appendice sugli archetipi nel cielo mentale zolliano, «Conoscenza religiosa», nuova serie, A.I.R.E.Z. Edizioni, 2, 2010, p. 157.
11.- E. ZOLLA, Che cos’è la Tradizione, cit., p. 95.
12.- G. MARCHIANÒ, Il conoscitore di segreti… cit., p. 93.
13.- Mi riferisco ad alcune opere dei primi anni Sessanta e cioè Eclissi dell’intellettuale, Bompiani, Milano 1959, Volgarità e dolore, Bompiani, Milano 1966, I Mistici dell’Occidente, Garzanti, Milano 1963 e Le origini del trascendentalismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1963.
14.- Cfr. R. GUENON, La crisi del mondo moderno (1927), Mediterranee, Roma 2003.
15.- Cfr. J. EVOLA, Rivolta contro il mondo moderno (1934), Mediterranee, Roma 2007.
16.- M. HORKHEIMER, TH.W. ADORNO, Dialektik der Aufklärung (1947), tr. it. di R. Solmi, Dialettica dell'Illuminismo, Einaudi, Torino 1966.
17.- E. ZOLLA, Eclissi dell’intellettuale (1959), Bompiani, Milano 1959, pp. 183-184.
18.- In Che cos’è la Tradizione Zolla dedicherà ampio spazio al satanismo, definendolo in tutte le sue più sottili varianti, tutte comunque confluenti all’interno dell’orizzonte della civiltà moderna occidentale, massificante e mercificante.
19.- E. ZOLLA, Eclissi dell’intellettuale, Bompiani, Milano 1959, p. 198. A proposito di mass media è interessante il parere di Zolla riguardo alla televisione: «La televisione è un bazar dove sfila un banco dopo l’altro: e quasi mai se ne presenta uno degno d’osservazione. Averne bisogno è segno d’una caduta al fondo dell’esistenza, è segno che la volontà di vivere si è ristretta al minimo e si posa l’occhio sullo schermo in attesa della morte. Altra differente questione è se si accetta di figurare nella sfilata. Non c’è motivo di sottrarsi, se c’è qualche profitto». E. ZOLLA, E. FASOLI, Un destino itinerante. Conversazioni tra Occidente e Oriente, Marsilio, Venezia 2002, p. 108.
20.- E. ZOLLA, I letterati e lo sciamano, Bompiani, Milano 1969, p. 381. Tornano alla mente le parole di Sgalambro, il quale afferma: «La politica è la tutela dei minorati. L'idea dunque che io possa essere governato mi dà un senso di offesa infinita. Mi sento di accettarla solo per quel tanto che mi assicuri la possibilità di occuparmi delle mie idee o di seguire le spire della mia sigaretta. Ma così ritengo che debba essere per qualsiasi uomo indipendente e consapevole di sé». M. SGALAMBRO, Dell’indifferenza in materia di società, Adelphi, Milano 1994, p 72.
21.- E. ZOLLA, I mistici dell’Occidente, cit. p. 19. La nota introduttiva di Zolla è del 1962. Va senz’altro puntualizzato che in tale interpretazione della psicanalisi di certo non rientra la figura di Jung, il quale fu invece molto vicino a posizioni tradizionaliste; John Holman a tale proposito afferma: «William Quinn mette in risalto la vicinanza tra Jung e il tradizionalismo: entrambi riconoscevano nella storia dell’Occidente, a partire dal Medioevo, una sorta di declino culturale e rintracciavano nella cristianità moderna una mancanza di “cultura psicologica”. […] Jung considerava gli gnostici “antenati spirituali dei propri insegnamenti”, afferma Stephan Hoeller; insegnamenti che erano poi passati attraverso gli alchimisti medievali e rinascimentali, cui fine e pietra filosofale era l’autorealizzazione spirituale (almeno come anima). Per Jung gli uomini sono religiosi per natura o, meglio, spirituali per natura; la mentalità moderna, al contrario, è indirizzata verso una prospettiva “senza mito” che induce alla malattia». J. HOLMAN, The return of the Perennial Philosophy (2008), tr. it. di E. Farsetti, Il ritorno della filosofia perenne. La suprema visione dell’esoterismo occidentale, Arethusa, Torino 2011, p. 106.
22.- H. CAVALLERA, Elèmire Zolla, la luce delle idee, Le Lettere, Firenze 2011, p. 100.
23.- Cfr. T. W. ADORNO, HORKHEIMER, Dialettica dell’illuminismo, cit.
24.- E. ZOLLA, Archetipi (1981), Marsilio, Venezia 1996, p. 42.
25.- Ivi, p. 36.
26.- F. CUNIBERTO, Addio all’Occidente. In ricordo di Elémire Zolla, in “Viátor”, cit., p. 97.
27.- G. G. MARCHIANÒ, Il conoscitore di segreti…, cit., p. 58.
28.- E. ZOLLA, I mistici dell’Occidente, cit., pp. 20-21.
29.- Ivi, pp. 22-23.
30.- E. ZOLLA, Le meraviglie della natura. Introduzione all’alchimia, Marsilio, Venezia 1991, pp. 226-227. L’americano Ethan Allen Hitchcock (1798-1870), fu uno dei tanti studiosi che identificarono la “materia prima” con l’uomo stesso e proponendo dunque la Grande Opera come percorso di ricerca metafisica e di evoluzione interiore. Come asserisce Gebelein, egli «avanzò l’ipotesi che gli storici della chimica come Hermann Kopp non avevano compreso il vero obiettivo dell’alchimia; secondo lui, il vero soggetto dell’alchimia era l’uomo e il suo oggetto il perfezionamento dell’uomo, fino a riunirlo alla sua natura divina. Questa interpretazione dell’alchimia come ricerca spirituale di se stessi ebbe un influsso enorme su quanti successivamente si occuparono di alchimia». H. GEBELEIN, Alchimie, tr. it. di S. Candida, Alchimia, Mediterranee, Roma 2006. p. 91.
31.- E. ZOLLA, Le potenze dell’anima, (1968), Rizzoli, Milano 2008.
32.- G. MARCHIANÒ, L’ordine sacro del cosmo…, cit, p. 154.
33.- H. CAVALLERA, Elémire Zolla…, cit., p. 110.
34.- E. ZOLLA, Che cos’è la tradizione, cit., p. 243.
35.- Ibid.
36.- Ibid.
37.- Ivi, p. 184.
38.- «Ogni vita comporta un’invisibile interiorità, che ne è la sostanza. Per coglierla, occorre un aggiramento delle apparenze sensibili, un balzo controcorrente, quale fa il salmone, simbolo vivente della conoscenza nelle Scritture norrene. L'aggiramento, il salto porta dal piano dei participi passati a quello dei presenti: dalla natura naturata a quella naturante, dall’esperienza vissuta alla creazione vivente». E. ZOLLA, Verità segrete…, cit., p. 154.
39.- H. CAVALLERA, Elémire Zolla…, cit., p. 72.
40.- E. ZOLLA, Che cos’è la Tradizione, cit., pp. 134-135.
41.- G. MARCHIANÒ, Introduzione a E. ZOLLA, Conoscenza religiosa. Scritti 1969-1983, Edizioni di Storia e letteratura, Roma 2006, p. XVIII.
42.- E. ZOLLA, La filosofia perenne, cit., p. 16.
43.- G. MARCHIANÒ, Il conoscitore di segreti…, cit., p. 611.
44.- E. ZOLLA, La filosofia perenne, op. cit., p. 18. Cfr. G. DI NAPOLI, Il concetto di «philosophia perennis» di Agostino Steuco nel quadro della tematica Rinascimentale, in Filosofia e cultura in Umbria tra Medioevo e Rinascimento, Atti del IV Convegno di Studi Umbri (22-26 maggio 1966), a cura di E. Berti, Perugia 1967; E. BERTI, Il concetto rinascimentale di “philosophia perennis” e le origini della storiografia tedesca, in “Verifiche”, VI, 1977, pp. 3-11; C.B. Schmitt, Perennial Philosophy: from Agostino Steuco to Leibniz, in “Journal of The History of Ideas, XXVII, 1966,pp. 505-532; A. HUXLEY, The Perennial Philosophy, (1945), tr. it. di G. De Angelis, La filosofia perenne, Adelphi, Milano 1995; A. POLI, L’eredità d’Agostino Steuco: il concetto di “perennis philosophia”, in “La Nottola di Minerva”, 3/2005, in: http://www.leonexiii.org/poli_steuco.htm
45.- E. ZOLLA, Che cos’è la Tradizione, cit., p. 134.
46.- E. ZOLLA, La filosofia perenne, cit., p. 77.
47.- E. ZOLLA, Che cos’è la Tradizione, cit., p. 137.
48.- E. ZOLLA - E. FASOLI, Un destino itinerante…, cit., p. 87.
49.- Ivi, p. 243.
50.- Ivi, p. 179.
51.- A. PALUMBO, Elémire Zolla: l’iniziazione alla ricerca, in «Conoscenza religiosa», cit., p. 139.
52.- G. MARCHIANÒ, Il conoscitore di segreti…, cit., p. 101.
53.- E. ZOLLA, Le meraviglie della natura…, cit., p. 509.
54.- E. ZOLLA, Che cos’è la Tradizione, cit., p. 135.
55.- Ivi, p. 174. A tale proposito torna in mente il rapporto tra Pavel Florenskij e il suo migliore amico Andrei Belyj, figlio di Nikolai Bugaev, suo professore di matematica all’Università di Mosca. Quando Belyi lascia l’Ortodossia per aderire all’Antroposofia da parte dell’amico c’è la massima comprensione e il più sincero incoraggiamento nella consapevolezza che non è l’esteriore ad essere rilevante ma l’interiore, non il cammino specifico ma la personalità: «Naturalmente ho queste o altre opinioni su questi o altri cammini della vita interiore. Ma se voi pretendeste da me una condanna definitiva di questi o altri cammini, apparenze, schemi ecc., io mi rifiuterei categoricamente. L’unica cosa che dichiarerò fermamente e senza riserve, non metodologicamente, ma assolutamente, è che «è imperscrutabile la profondità della ricchezza della Sapienza Divina» e che non c’è nulla tale che possa provocare metodologicamente la mia aspra resistenza, a causa dell’obbligo del mio servizio nel mondo, dell’obbedienza a me data, nulla che io possa condannare in modo assoluto e senza riserve. […]. Se io credo in una personalità, allora non posso e non sento in me il diritto di affermare di nessuno dei suoi cammini: «è un falso cammino». P. FLORENSKIJ,A. BELYJ, L’arte, il simbolo e Dio, Lettere sullo spirito russo, Medusa, Milano 2004, p. 85.
56.- Ivi, p. 179.
57.- G. MARCHIANÒ, Introduzione a E. ZOLLA, Conoscenza religiosa, cit., p. XIII.
58.- G. MARCHIANO, Il conoscitore di segreti, cit., p. 94.
59.- Per un approfondimento riguardo ai tre dogmi che inchiodano e condannano la modernità all’apice dell’anti tradizione, si veda anche il mio saggio Il pensare nell’assenza del sacro: Elémire Zolla tra filosofia perenne e modernità in “Il pensare”, Anno I, n. 1, 2012.
60.- Ivi, p. 57. Nel libro-intervista Un destino itinerante, Doriano Fasoli chiede a Zolla perché non parli mai volentieri di politica, ecco la risposta: «Di politica non parlo volentieri perché di fatto sono indifferente alle lotte per il potere. Certo oggi mi sento finalmente libero e perfino esultante, perché sono scomparse le due forze che mi avrebbero volentieri chiuso in un campo di concentramento, nel 1945 ebbi la gioia di veder crollare il fascismo e negli anni attuali di veder svanire l’URSS e il comunismo. Ma una volta sciolto non mi butto a lottare, ho in pieno la libertà che sempre ho pur custodito e posso dedicarmi allo studio, alle piccole delizie d’ogni giorno. Lascio ai vecchi istituti politici di arruffarsi nel combattimento e ne distolgo lo sguardo». E. ZOLLA - E. FASOLI, Un destino itinerante…, cit., p. 104.
61.- Ivi, p. 166.
62.- H. CAVALLERA, Elémire Zolla…, cit, p. 179. E la metafisica è tutt’uno con l’arte: «Tutte le singole arti, poi, all’origine erano fra loro intrecciate in un’unica azione sacramentale, e rimangono vive nella misura in cui conservino traccia di quella loro condizione umile e perciò magnificata; ogni volta che una armonia figurativa, poetica, musicale, per quanto profana, ci trattenga l’attenzione, è il vago ricordo di quella catarsi primordiale che ci viene largito». E. ZOLLA, Che cos’è la Tradizione, cit., p. 186.
63.- E. ZOLLA, Le meraviglie della natura…, cit., p. 387. «Ma chi riflette comprende che l’Assoluto si scopre nell’interiorità e lo smarrisce chi lo cerchi nel mondo esteriore». L’esito del processo, precisa Zolla è «la comunione con il proprio sé più intimo, che coincide con la verità suprema, e che la ragione non può afferrare, perché gioca soltanto con opposti e contrari, allestendo contrapposizioni dispiegate nel tempo e nello spazio». E. ZOLLA, Le tre vie (1995), Adelphi Milano 2002, p. 51.
Da: Frammenti di Filosofia Contemporanea, Limina Mentis, Milano 2013.
LUCIO GIULIODORI, classe 1974 è laureato e dottorato in Filosofia. Tra i suoi ambiti di ricerca e studio, il surrealismo in arte e letteratura, la filosofia della scienza, l'esoterismo. È professore Associato di lingua e cultura italiana all'Università Pedagogica Statale di Mosca.