Page

09 marzo 2022

Olalla Castro Hernández | Venti poesie | Scelta dei testi, versioni e profili biobliografici a cura di Marcela Filippi



Da: La vida en los ramajes (2013)


1.- LA VITA NEI RAMI

Bastò un semplice gesto della bestia,
uno starnuto appena,
per espellere Giona dal paradiso:
dal ventre abissale della balena.
Da allora,
siamo tornati  al mondo degli uomini
con l'oscuro sospetto
di essere ormai mutilati per sempre.
Transfughe da ogni nome proprio,
ci asteniamo dall'avere una fisionomia
per fissare nei ritratti
un volto ogni ora
identico a se stesso.
Se essere obbliga, costringe a definirsi,
rimarremo insonni
vivendo tra i rami.
Legno che partorisce solo trucioli,
senza casa, senza ponti, senza chiesa.
Per tornare al nero
all'umido Eden da cui siamo venuti.
Qui,
appese agli alberi,
le maschere,
urtando le une contro le altre,
ci sussurrano in lingue straniere.
Delizioso ascoltare
senza capire ormai nulla.


LA VIDA EN LOS RAMAJES

Bastó un gesto sencillo de la bestia,
un estornudo apenas,
para expulsar a Jonás del paraíso:
del vientre abisal de la ballena.
Desde entonces,
regresamos al mundo de los hombres
con la oscura sospecha
de estar ya mutilados para siempre.
Tránsfugas de todo nombre propio,
rehuimos tener fisonomía
con tal de no fijar en los retratos
un rostro cada hora
idéntico a sí mismo.
Si ser obliga, fuerza a definirse,
seguiremos insomnes
viviendo en los ramajes.
Madera que da a luz sólo virutas,
sin casa, sin puentes, sin iglesia.
Para volver al negro,
al húmedo edén del que salimos.
Aquí,
colgadas de los árboles,
las máscaras,
al chocar las unas con las otras,
nos susurran en lenguas extranjeras.
Delicioso escuchar
sin entender ya nada.



2.- LI SENTO RESPIRARE

Li sento respirare nei miei angoli;
stanno cercano di infiltrarsi nella saliva,
(con)fondersi nel sudore,
penetrare nel mio respiro e che non resti
neanche una sola materia
che sfugga al loro linguaggio.
Avanzano, nominano,
si impossessano della mia sete e del mio nascondiglio.
Si acquietano all'improvviso,
si appostano sulla mia rabbia
e lì rimangono in silenzio.
So che si aspettano un gesto di rinuncia
per farmi uscire a calci dal mio corpo.


LES OIGO RESPIRAR

Les oigo respirar en mis esquinas;
van buscando filtrarse en la saliva,
(con)fundirse en el sudor,
penetrar en mi aliento y que no quede
una sola materia
que escape a su lenguaje.
Avanzan, nombran,
se adueñan de mi sed y mi escondite.
Se aquietan de repente,
se apostan en mi rabia
y allí guardan silencio.
Sé que esperan un gesto de renuncia
para sacarme a rastras de mi cuerpo.


3.- INVERNI

Fredda, devastante la bellezza
del bosco
dove gli inverni si occultano.
Spaventa
guardare di fronte e vedere tante linee.
Centinaia di rami-dita,
indicandomi gli uni e gli altri,
sembrano incolparmi.
Lascio quindi cadere ogni foglia
fino a rimanere soltanto tra i rami.
Fisso lo sguardo nello specchio d'acqua
che offre sotto i miei piedi
lo stagno ghiacciato.
E mi guardo,
ormai spoglia di fiori, robusto il tronco.
E dico loro: eccomi a voi.
Provate ora a condannarmi.


INVIERNOS

Fría, devastadora belleza
la del bosque
donde se solapan los inviernos.
Asusta
mirar de frente y ver tantas aristas.
Cientos de ramas-dedo,
señalándome las unas y las otras,
parecen acusarme.
Dejo caer entonces cada hoja
hasta quedarme tan sólo en el ramaje.
Fijo la vista en el espejo de agua
que ofrece bajo mis pies
la charca helada.
Y me miro,
desnuda ya de flores, recio el tronco.
Y les digo: aquí me tenéis.
Atreveos ahora a condenarme.


4.- LA CAMICIA DA NOTTE DI EMILY DICKINSON*

«Gli obblighi del vento sono pochi»
E. D.
Alla luce, il cotone appena stirato,
bianca serie di fili
che leggermente spuntano
quando arrivano alla caviglia.
In controluce, le cosce anch'esse bianche,
carne morbida che non è stata anfitriona.
Lontano il vestito nero delle foto,
il solenne lutto di collo inamidato,
i capelli neri, raccolti.
In casa, il silenzio.
I piedi scalzi,
-sincerandosi prima
che non ci sia traccia
alcuna di ospiti–,
attraversano il corridoio.
Rimane lontana la stanza-tana,
la vita da fantasma
tra cadaveri che solo parlottano.
Sola,
ebbra di  bianco, di cotone,
di luce, di morbida carne,
con i capelli sciolti e aggrovigliati,
Emily abbraccia la corteccia dell'albero.
Facendo passeggiare le dita tra l'erba,
attraversa di fretta la collina,
fino ad arrivare al campo di papaveri.
E si lascia cadere, tese le braccia.
Di ritorno a casa,
col candore macchiato
di fango, d'erba, di papaveri:
le mani di vento,
il corpo divento,
la risata ancor più di vento.
E la libertà,
con la sua collana di spine,
si trascina un'altra volta fino all'alcova.


* I Premio Internazionale di Poesia Piedra del Molino



EL CAMISÓN DE EMILY DICKINSON*


«Las obligaciones del viento son pocas» 
E. D.

A la luz, el algodón recién planchado,
blanca sarta de hilos
que ligeramente despuntan
al llegar al tobillo.
Al trasluz, los muslos también blancos,
carne blanda que no ha sido anfitriona.
Lejos el negro vestido de las fotos,
el solemne luto de cuello almidonado,
los cabellos negros, recogidos.
En la casa, el silencio.
Los pies descalzos,
-cerciorándose antes
de que no queda rastro
alguno de visitas–,
traspasan el rellano. 
Lejos queda la habitación-guarida,
la vida de fantasma
entre cadáveres que sólo parlotean.
Sola,
ebria de blanco, de algodón,
de luz, de blanda carne,
con los cabellos sueltos y enredados,
Emily abraza la corteza del árbol.
Paseando los dedos por la hierba,
atraviesa aprisa la colina,
hasta llegar al campo de amapolas.
Y se deja caer, extendidos los brazos.
De vuelta a casa,
con la blancura manchada
de barro, de hierba, de amapolas:
las manos de viento,
el cuerpo de viento,
la risa más de viento todavía.
Y la libertad,
con su collar de espinas,
arrastrándose otra vez hasta la alcoba.

* I Premio Internacional de Poesía Piedra del Molino.


5. OMERO MENTÌ

Non era per tessere e distessere attese
che Penelope dedicava le sue notti.
Dormivano i suoi corteggiatori aspettando,
avidi, di vedere finalmente il sudario di Laerte,
mentre ella inventava le sue proprie odissee.
Leggeva pergamene
portate via mare da altre terre
e baciava l'unico occhio
dei sui teneri Ciclopi.
Nel mare che abitano le sirene
imparava uno per uno
gli accordi-scudo dei suoi canti.
Penelope al sicuro
dal loro sguardo,
la mordacchia in sospeso,
distesa la corda,
desiderava che il viaggio durasse per sempre.
Non era per tessere e distessere, attese
che Penelope dedicava le sue notti.
Ella mai pensò ad Ulisse,
alla fine,
sarebbe ritornato.


HOMERO MINTIÓ

No era a tejer y a destejer esperas
a lo que dedicaba Penélope las noches.
Dormían sus pretendientes esperando,
ávidos, ver al fin la mortaja de Laertes,
mientras ella inventaba sus propias odiseas.
Leía pergaminos
traídos por mar desde otras tierras
y besaba el único ojo
de sus Cíclopes tiernos.
En el mar que habitan las sirenas
aprendía uno a uno
los acordes-escudo de sus cantos.
Penélope a salvo
de la mirada de ellos,
el bozal en suspenso,
distendida la soga,
deseaba que el viaje durase para siempre.
No era a tejer y a destejer esperas
a lo que dedicaba Penélope las noches.
Ella jamás pensó que Ulises,
al fin,
regresaría.


6.- COME VIRGINIA WOOLF

Voglio scrivere due brevi note alle dodici
e immergere la mia testa sotto l'acqua.
Che i capelli, galleggiando, siano
alghe nere che lentamente danzano.
Riempire di sassi le tasche
e camminare cercando la profondità,
senza pietà per quelli che restano.
Voglio imergere la mia testa sotto l'acqua
gli occhi aperti e rotondi:
due pesci verdi che nuotino senza muoversi.
Che le mie ultime parole siano
delicate bolle senza suono.
E lasciare solo un'eco
di onde sul fiume
che si possa appena vedere.
E lasciare solo un'eco
di onde sul fiume
che non si attenui mai.


COMO VIRGINIA WOOLF

Quiero escribir dos breves notas a las doce
y hundir mi cabeza bajo el agua.
Que sean, flotando, los cabellos
negras algas que lentamente bailen.
Llenar de guijarros los bolsillos
y caminar buscando lo profundo,
sin piedad por aquéllos que se quedan.
Quiero hundir mi cabeza bajo el agua,
los ojos abiertos y redondos:
dos peces verdes que naden sin moverse.
Que sean mis últimas palabras
delicadas burbujas sin sonido.
Y dejar sólo un eco
de ondas sobre el río
que apenas pueda verse.
Y dejar sólo un eco
de ondas sobre el río
que no se apague nunca.


7.- BLUES DE MISTER ARMSTRONG

I

Cento vanghe alla volta
fanno tremare la terra
quando collassa.
Musica di catene.
Danza di sudore e di piedi scalzi.
Il padrone distribuisce frustate
fuori tempo:
gli animali non sanno di ritmo.

II

Il colpo si piazza su vecchie cicatrici,
lacera una pelle che è tutta ferita.
Gli uomini cantano per non ammutinarsi,
per non spaccare a colpi di pietra
la testa della bestia
che dall'alto distribuisce frustate.
Voci di fuochi e di caverne
che suonano di più dopo ogni percossa.

III

Un battello a vapore attraversa il Mississippi.
Donne in corsetto e guance rosee
si sporgono sul ponte, occultando
i loro occhi dietro un ventaglio.
Assistono scandalizzate a quel pianto
che si leva dal dorso della terra,
alla voce della piaga resistente,
al lamento su scala pentatonica.
Dame in corsetto e guance rosee,
signorine dalla bianca pelle che ridono,
faranno ritorno alle loro tenute in Arkansas
e ordineranno alle loro ancelle,
tutte nere,
di liberare la loro vita dai lacci,
per potere finalmente, una volta da sole,
distendere l'addome e respirare veramente.


BLUES DE MISTER ARMSTRONG

I

Cien azadas a la vez
hacen temblar la tierra
al desplomarse.
Música de cadenas.
Danza de sudor y pies descalzos.
El patrón reparte latigazos
a destiempo:
los animales no saben de ritmo.

II

Se instala el golpe en viejas cicatrices,
cercena una piel que es toda herida.
Cantan los hombres para no amotinarse,
para no romper a pedradas
la cabeza de la bestia
que desde arriba reparte latigazos.
Voces de hoguera y de caverna
que suenan más después de cada azote.

III

Un barco de vapor cruza el Mississippi.
Damas de corsé y mejillas rosas
se asoman a cubierta, ocultando
sus ojos detrás de un abanico.
Asisten con escándalo a ese llanto
que sale del lomo de la tierra,
a la voz de la llaga resistente,
al lamento en escala pentatónica.
Damas de corsé y mejillas rosas,
señoritas de blanca piel que ríen,
llegarán a sus mansiones en Arkansas
y ordenarán a sus doncellas,
todas negras,
que liberen sus talles de las cuerdas,
para poder, al fin, una vez solas,
distender el abdomen y respirar de veras.



8.- AI PIEDI DELLA VECCHIA QUERCIA



Betty Lee, la ragazza dai capelli rossi
dall'abito verde e lunghe trecce,
gioca vicino alla fattoria di suo padre.
La sua faccia, un colino
di minuscole lentiggini,
diventa carta giallastra
giunta ai piedi della vecchia quercia.
Tre uomini appesi
come  uccelli
del ramo più alto.
Corpi-penduli che oscillano leggermente,
disegnando un teatro
di ombre a terra.
I tre riposano
con la testa inclinata in avanti,
flaccide le braccia.
Tutto intorno è calmo.
A Betty Lee, papà
le pribisce fissare i neri.
Ma papà non c'è e lei è curiosa.
Dopo aver studiato a lungo la scena
finisce per dirsi:
dev'essere così che dormono i negri.


A LOS PIES DEL VIEJO ROBLE


Betty Lee, la niña pelirroja
de vestido verde y largas trenzas,
juega junto a la hacienda de su padre.
Su cara, un colador
de diminutas pecas,
se vuelve papel amarillento
al llegar a los pies del viejo roble.
Tres hombres cuelgan
como pájaros
de la rama más alta.
Cuerpos-péndulo que oscilan levemente,
dibujando un teatro
de sombras en la tierra.
Descansan los tres
con la cabeza inclinada hacia delante,
fláccidos los brazos.
Todo alrededor está tranquilo.
A Betty Lee, papá
le prohíbe mirar fijamente a los negros.
Pero papá no está y ella es curiosa.
Tras estudiar la escena largamente
acaba por decirse:
así debe ser como duermen los negros.


9.- ROSA PARK NON VOLLE ALZARSI


Molto più tardi,
Rosa Park avrebbe detto:
«Ero solo stanca
così stanca che ho dovuto sedermi».
Fu quando i bianchi
continuarono a mormorare,
quando il controllore le ordinò,
prendendola per un braccio,
di tornare indietro,
al posto dei negri,
quando quel gesto piccolo 
e lieve
fece cambiare il corso della storia.


ROSA PARK NO QUISO LEVANTARSE
Mucho después,
Rosa Park diría:
«Sólo estaba cansada,
tan cansada que tuve que sentarme».
Fue cuando los blancos
siguieron murmurando,
cuando el revisor le ordenó,
asiéndola de un brazo,
que regresara atrás,
al sitio de los negros,
cuando ese gesto minúsculo
y liviano
hizo cambiar el curso de la Historia.


10.- HANNO INVENTATO LO SWING


Qusta sera i ragazzi suonano jazz
con i loro vestiti marroni e consumati.
Tutti nel locale sembrano divertirsi.
Anche i piedi del barman
ballano dietro il bancone.
Volano i vassoi 
sopra i copricapi delle ragazze,
facendosi strada verso le sedie
dove riprendono fiato le coppie.
Decine di corpi neri sudano
al ritmo della musica e ringraziano
che lì la libertà costi così poco.
Hanno inventato lo swing
per dimenticare la sua eredità dalle catene.
Hanno inventato lo swing
per mettere alla prova le sue ali.


INVENTARON EL SWING


Esta noche los muchachos tocan jazz
con sus trajes marrones y gastados.
Todos en el local parecen divertirse.
Hasta los pies del barman
bailan tras la barra.
Vuelan las bandejas
sobre los tocados de las chicas,
abriéndose camino hasta las sillas
donde recuperan resuello las parejas.
Decenas de negros cuerpos sudan
al compás de la música y dan gracias
de que allí la libertad cueste tan poco.
Inventaron el swing
para olvidar su herencia de grilletes.
Inventaron el swing
para probar sus alas.


11.- PRIMA CHE TI SVEGLI

La tua riva è sempre un'altra
quando ti ritrovo.
Con braccia d'acqua e cosce di salnitro,
sulla tua sabbia sfuggente, debordo.
Sai che ci sono alghe secche sulle mie labbra
stanche di chiamare il tuo corpo
e che nessuno risponda.
Il mio respiro
si aggroviglia nella tua scogliera,
ti logora,
rileva i tuoi pori, ti attraversa,
corrode quel silenzio
di pietra che sollevi.
Quasi con rabbia trafiggo il tuo profilo,
lascio cadere schiuma sulle tue ciglia.
E poi evaporo 
prima che ti svegli
e ti ritrovi tanto solo.


ANTES DE QUE AMANEZCAS


Tu orilla siempre es otra
cuando vuelvo a encontrarte.
Con brazos de agua y muslos de salitre,
sobre tu arena huidiza, me desbordo.
Sabes que hay algas secas en mis labios,
cansados de llamar a tu cuerpo
y que nadie responda.
Mi respiración
se enreda en tu arrecife,
te socava,
detecta tus poros, te atraviesa,
carcome ese silencio
de piedra que levantas.
Casi con rabia horado tu perfil,
dejo caer espuma en tus pestañas.
Y me evaporo después,
antes de que amanezcas
y te encuentres tan solo.


Da: Bajo la luz, el cepo  (2018)

12.- LA SPEDIZIONE PERDUTA DI FRANKLIN (1845-1848)

V

Da giorni, le nostre navi
sono rimaste intrappolate nel ghiaccio.
Abbiamo deciso di abbandonarle
e di dirigerci verso sud,
in cerca di un'uscita
da questo labirinto che abbaglia.
Ora divoriamo con avidità
le lattine di conserva
e continuiamo a camminare.
Il vento ci colpisce.
Riceviamo spari di gelo in pieno volto
e parliamo con la lingua intorpidita.
Ieri notte abbiamo seppellito nella neve
i primi cadaveri.
Ho potuto vedere la verità
negli occhi rotondi dei morti,
come nella sfera di cristallo di un indovino:
ciò che ci tiene in vita
ci sta avvelenando.
La stessa cosa che ci uccide ci serve da alimento.
Questa è la punizione
che questa terra ha scelto per noi.


LA EXPEDICIÓN PERDIDA DE FRANKLIN (1845-1848)


V

Hace días, nuestros barcos 
quedaron atrapados en el hielo.
Decidimos abandonarlos
y dirigirnos hacia el sur, 
buscando una salida 
a este laberinto que deslumbra.
Ahora devoramos con avidez
las latas de conserva
y seguimos andando.
El viento nos sacude.
Recibimos disparos de escarcha en pleno rostro
y hablamos con la lengua entumecida. 
Anoche enterramos en la nieve
los primeros cadáveres.
Pude ver la verdad
en los ojos redondos de los muertos, 
como en la bola de cristal de un adivino:
aquello que nos mantiene vivos
nos está envenenando.
Lo mismo que nos mata nos sirve de alimento.
Ese es el castigo 
que esta tierra eligió para nosotros.


13.- LA SPEDIZIONE PERDUTA DI FRANKLIN (1845-1848)

VI

Ogni notte bruciamo una manciata di libri
e avviciniamo le nostre dita congelate
fino a quando le nostre gemme
diventano delle lucciole.
Ci salva questo fulgore a metà del nero,
la luce arancione
che ci restituisce il tatto.
Le parole,
come vermi nella loro scatola di esche,
si torcono prima di morire.
Le parole diventano
sempre impronunciabili
sotto il fuoco.
Penso alle storie
che danzano tra le fiamme;
alla nostra stessa storia,
che nessuno racconterà.
Il lume che accendiamo
ci serve da confine e da trincea.
Da questo bagliore
impediamo l'avanzata del freddo.
E anche se so quanto sia importante
mantenere questo fuoco,
Porto Dickens nascosto sotto i panni
con cui nascondo le curve dei miei seni.
Preferisco morire al buio che in silenzio.


LA EXPEDICIÓN PERDIDA DE FRANKLIN (1845-1848)


VI

Cada noche quemamos un puñado de libros 
y acercamos los dedos ateridos
hasta que nuestras yemas
se convierten en luciérnagas.
Nos salva este fulgor en mitad de lo negro,
la luz anaranjada 
que nos devuelve el tacto.
Las palabras, 
como gusanos en su caja de cebo,
se retuercen antes de morir.
Las palabras se vuelven 
siempre impronunciables 
bajo el fuego. 
Pienso en las historias 
que bailan en las llamas;
en nuestra propia historia, 
que no contará nadie.
La lumbre que prendemos 
nos sirve de confín y de trinchera.
Desde este resplandor, 
impedimos el avance del frío.
Y aunque sé cuánto importa
mantener esta hoguera,
llevo a Dickens escondido bajo los paños
con los que oculto las curvas de mis pechos.
Prefiero morir a oscuras que en silencio.

14.- LA SPEDIZIONE PERDUTA DI FRANKLIN (1845-1848)


IX

Non rientrava nei nostri piani
che questo deserto bianco bruciasse i nostri occhi.
Tanta luminosità risulta insopportabile.
Quando arriva il bagliore,
i nostri passi diventano goffi e piccoli.
Sono sempre di più corpi da seppellire
e di meno le mani che scavano nella neve.
In questa corsa verso la morte, chi vince?
I primi o gli ultimi a raggiungere la meta? 
Trasciniamo i corpi-pennello dei feriti
e il loro sangue disegna acquarelli sul ghiaccio.
Questo sarebbe sicuramente un bel dipinto
non farebbe tanta paura.


LA EXPEDICIÓN PERDIDA DE FRANKLIN (1845-1848)


IX

No entraba en nuestros planes 
que este desierto blanco nos quemara los ojos.
Tanto brillo resulta insoportable.
Cuando llega el deslumbre,
nuestros pasos se vuelven torpes y pequeños.
Cada vez son más los cuerpos a enterrar
y menos las manos que cavan en la nieve.
En esta carrera hacia la muerte, ¿quiénes ganan?
¿Los primeros o los últimos en llegar a la meta?
Arrastramos los cuerpos-pincel de los heridos
y su sangre dibuja acuarelas sobre el hielo.
Este sería sin duda un cuadro hermoso 
de no dar tanto miedo.


15.- LUNGO LA VIA DI SISKIYOU (1848-1855)


VII

Ogni mattina,
prima di partire verso il fiume,
rendiamo grazie a Dio
per ciò che ci sarà quel giorno nei nostri piatti,
non importa se è pappetta o topi.
I miei genitori e mia sorella
sembrano dimenticare che pregano
alla stessa persona che ci ha abbandonato:
quel Dio che è capace di nascondere sottoterra
una manciata d'oro
soltanto per vederci scavare;
lo stesso che ci ha portato fin qui
sapendo che la fame ci ucciderà
molto prima che il grano
ci arrivi intorno ai fianchi.
Io muovo le labbra e fingo di pregare
mentre tanta gratitudine man mano mi scheggia.


POR LA RUTA DE  SISKIYOUY (1848-1855)


VII

Cada mañana,
antes de partir hacia el río,
damos gracias a Dios 
por lo que haya ese día en nuestros platos,
no importa si son gachas o ratones.
Mis padres y mi hermana 
parecen olvidar que le rezan 
a la misma persona que nos ha abandonado:
ese Dios que es capaz de esconder bajo tierra 
un puñado de oro
tan solo para vernos escarbar;
el mismo que nos trajo hasta aquí
sabiendo que el hambre va a matarnos
mucho antes de que el trigo
nos llegue a la cintura.
Yo muevo los labios y finjo rezar,
mientras tanta gratitud me va astillando.


16.- LUNGO LA VIA DI SISKIYOU (1848-1855)


VIII

Mi domando
quando si renderanno conto gli altri
che stiamo cercando una bugia?
Mi domando
se non lo sappiano già da settimane
e tornano ogni giorno
su questa sponda cieca
a tremare sotto l'acqua
con l'unico scopo
di sciacquare tanta paura.


POR LA RUTA DE  SISKIYOUY (1848-1855)


VIII

Me pregunto 
cuándo se darán cuenta los demás
de que estamos buscando una mentira.
Me pregunto 
si no lo saben ya hace semanas
y vuelven cada día 
hasta esta orilla ciega
a tiritar bajo el agua
con el único fin 
de enjuagar tanto miedo. 


17.- LE ISTERICHE DELLA SALPÊTRIÈRE (1862-1867)


V

Sono davanti alla finestra.
Traccio cerchi sul vetro
con la punta delle mie dita;
sono le stesse dita con cui,
a volte,
quando sento che sto per urlare,
mi copro la bocca.
Traccio cerchi sul vetro
durante ore:
Sono riuscita a convincermi che,
finché le mie mani non smettano di toccarlo,
oscillerò tra i due mondi
che il vetro separa,
senza scivolare da questa parte
dove tutto si rompe.
Fuori c'è un albero che cresce
a forza di annodarsi su se stesso,
che deve torcersi per continuare a vivere.
Sono quell'albero e, guardandolo,
riesco a volgere le spalle a tutto ciò che è bianco:
alle lunghe vestaglie degli uomini-pillola,
alle fredde piastrelle della sala delle docce,
alle pareti dove altre
sbattono la loro testa,
al camice di forza
che mi legano alla schiena
quando non faccio in tempo
a coprirmi la bocca con le dita
e ululo come un coyote,
comprendendo di colpo
di avere una tana dentro di me.


LAS HISTÉRICAS DE LA SALPÊTRIÈRE (1862-1867)


V

Estoy frente a la ventana.
Trazo círculos sobre el cristal
con la punta de mis dedos;
son los mismos dedos con los que, 
a veces, 
cuando siento que voy a gritar,
tapo mi boca.
Trazo círculos sobre el cristal
durante horas:
he logrado convencerme de que,
mientras mis manos no dejen de tocarlo,
vacilaré entre los dos mundos
que el vidrio separa, 
sin resbalar de este lado 
donde todo se rompe.
Fuera hay un árbol que crece 
a fuerza de anudarse sobre sí,
que tiene que torcerse para seguir viviendo.
Soy ese árbol y, al mirarlo,
consigo dar la espalda a todo lo que es blanco:
a las largas batas de los hombres-pastilla,
a las baldosas frías de la sala de duchas,
a las paredes donde otras 
golpean sus cabezas,
a la camisa de fuerza 
que me atan a la espalda
cuando no llego a tiempo 
para taparme la boca con los dedos
y aúllo lo mismo que un coyote,
entendiendo de golpe
que guardo dentro de mí una madriguera.


18.- IL LEBBROSARIO DELL'ISOLA DI MOLOKAI (1866-1869)


VII

Se ascolti bene,
puoi trovare la musica
in tutte queste diverse grida,
una certa armonia
nel dolore che condividiamo.
E in ogni minima pausa,
in ogni virgola di respiro o di fraseggio,
s'indovina un mutismo più lungo:
quel suono senza suono che è la morte.


LA LEPROSERÍA DE LA ISLA DE MOLOKAI (1866-1869)


VII

Si escuchas bien,
puedes hallar la música
en todos estos gritos diferentes,
cierta armonía 
en el dolor que compartimos.
Y en cada mínima pausa,
en cada coma de respiración o de fraseo,
una mudez más larga se adivina:
ese sonido sin sonido que es la muerte.


19.- IL LEBBROSARIO DELL'ISOLA DI MOLOKAI (1866-1869)


VIII

Alcune mattine
quelli che abbiamo conservato ancora
intatte le nostre dita
camminiamo verso la spiaggia
con una canna sulla spalla.
Con i piedi che oscillano
tra l'acqua e la sabbia,
gettiamo la lenza e aspettiamo,
osservando fissamente l'immenso blu,
finché il sole non ci costringe
a distogliere lo sguardo e a strofinarci gli occhi.
Altre volte andiamo all'interno dell'isola,
verso la selva, con una pala in spalla.
Con i piedi che oscillano tra il fango e le foglie,
aiutiamo a scavare una sequela di tombe.
Una volta gettati i cadaveri nella fossa,
ci mettiamo accanto ai preti
e chiniamo la testa:essi pregano in una lingua strana
a un dio che non li guarda.
io sento solo il cinguettio degli uccelli
e guardo di traverso danzare i rami col vento.
Ogni mattina,
quando arriva l'uomo
che disegna croci nell'aria,
spero che il suo dito mi indichi e si fermi.
Spero che mi scelga 
(non importa se per pescare il nostro cibo
o per scavare le nostre tombe).
Qualsiasi cosa pur di raggiungere l'aperto,
per riempirmi di luce fino a che mi dolga.


LA LEPROSERÍA DE LA ISLA DE MOLOKAI (1866-1869)


VIII

Algunas mañanas, 
los que aún conservamos 
intactos nuestros dedos
caminamos hacia la playa 
con una caña al hombro.
Con los pies oscilando
entre el agua y la arena,
lanzamos el sedal y esperamos,
observando fijamente tanto azul,
hasta que el sol nos obliga 
a desviar la mirada y frotarnos los ojos.
Otras veces marchamos isla adentro, 
hacia la selva, con una pala al hombro.
Con los pies oscilando
entre el barro y las hojas,
ayudamos a cavar una hilera de tumbas.
Una vez arrojados los cadáveres al foso,
nos colocamos junto a los curas 
y agachamos la cabeza: 
ellos rezan en una lengua extraña
a un dios que no los mira.    
Yo solo escucho el trinar de los pájaros
y observo de soslayo 
danzar a las ramas con el viento.
Cada mañana, 
cuando llega el hombre 
que dibuja cruces en el aire, 
espero que su dedo me apunte y se detenga.
Espero que me elija
(da igual si para pescar nuestra comida
o cavar nuestras tumbas).
Cualquier cosa por tal de llegar a lo abierto,
de llenarme de luz hasta que duela.


20.- IL LEBBROSARIO DELL'ISOLA DI MOLOKAI (1866-1869)


X

Sono questo dolore che mi ricorda
che, tra desiderio e verità,
un corpo si interpone.
Un corpo ritorto
che divora se stesso,
sepolto sotto la sua stessa carne.
Sono questo dolore che mi conforma,
queste dita che diventano
sempre più piccole,
mentre la pelle si confonde con l'escara.
Sono questo dolore con cui dormo,
che di notte mi abbraccia e mi bisbiglia.
Sono questo dolore che mangia il mio pane
e passeggia con me lungo la riva.
Sono la corda-dolore 
che lega il mio collo a questo annuncio di morte.
Sono la corda pesante
che, allo stesso tempo in cui mi affoga, mi sostiene.


LA LEPROSERÍA DE LA ISLA DE MOLOKAI (1866-1869)



Soy este dolor que me recuerda
que, entre el deseo y la verdad,
un cuerpo se interpone.
Un cuerpo torcido
que se devora a sí mismo,
sepultado bajo su propia carne.
Soy este dolor que me conforma,
estos dedos que se vuelven 
cada vez más pequeños, 
mientras la piel se confunde con la escara.
Soy este dolor con el que duermo,
que de noche me abraza y bisbisea.
Soy este dolor que se come mi pan
y pasea conmigo por la orilla.
Soy la soga-dolor 
que anuda mi cuello a este anuncio de muerte.
Soy la cuerda pesada 
que, al tiempo que me ahoga, me sostiene.



OLALLA CASTRO HERNÁNDEZ (Granada, 1979) è poetessa, scrittrice, saggista e giornalista. Laureata  presso l'Università di Granada in Giornalismo e in Teoria della letteratura. Premio straordinario per la Tesi Dottorale sulla narrativa di Enrique Vila-Matas. Ha vinto il Premio Nazionale di Poesia Miguel Hernández, il Premio di Poesia Tardor, il Premio Antonio Machado e il Premio di Poesia Unicaja. Oltre ai suoi libri pubblicati (La vida en los ramajes, Devenir 2013; Los sonidos del barro, Agua Clara 2016; Bajo la luz, el cepo, Hiperión, 2018; Inventar el hueso, Pre-Textos, 2018), i suoi racconti e poesie sono stati raccolti in più di venti antologie e tradotti in varie lingue. È stata anche editorialista per il giornale La Opinión de Granada per nove anni. Attualmente è editorialista di El Salto Diario. E' cantante e paroliere per diversi progetti musicali, tiene laboratori di scrittura e lavora come correttrice di bozze.