Page

22 novembre 2021

Gesualdo Bufalino | Diciassette poesie


BESTIARIO


Un gallo facinoroso
è il sole dentro il tuo pugno:
fa subbuglio di piume d’oro.

Ma nella ingannevole acqua
delle tue palpebre piomba
un bruno falco, s’acquatta
un’atterrita colomba.


IMPROVVISO D’AMORE


Losanghe di cieli, cieli di gesso,
vecchio terrore che indosso ogni giorno;
muraglie da cui sempre mi ritorna
questa mia strenua voce d’ossesso;

e libri, voi, paradisi dipinti,
reticolati d’assurdo quaderno,
trionfo e sbarre di carcere eterno,
fughe immobili e nero labirinto:

oh mescetevi, carte, firmamenti, 
memorie, fate rissa entro di me,
e inventatevi un nome, un altro viso.

Ora che lei m’ha parlato alla mente,
lei nel suo scialle di sposa di re,
con gli stupori e i corrucci e le risa…


EINE KLEINE NACHTMUSIK


La musica ci giunge dalle terrazze
lontane, stesi così sulla sabbia,
coi capelli confusi e felici,
fra muraglie di bianco diluvio,
così sorpresi d’esistere in due
sotto la coltre benigna dell’aria,
disincarnati e carnali, perfetti
come due palme nude, unite.


PAESE 


Nel guscio dei tuoi occhi
sverna una stella dura, una gemma eterna.

Ma la tua voce è un mare che si calma
a una foce di antiche conchiglie,
dove s’infiorano mani e la palma
nel cielo si meraviglia.

Sei anche un’erba, un’arancia, una nuvola…
T’amo come un paese.


DI UN DIFFICILE ORACOLO


E mi stupisco ancora 
del tuo sangue violento che mi sfida 
e sgrida con voce di vento.
Decifrassi una volta la vermiglia 
cantilena che recita, 
bando di morte o vita, chi sa dirlo?
Ma io non sono che il drago custode 
dei tuoi polsi in burrasca, un pescatore 
di maree che origlia dalla riva.
Anche infelice, se non fosse il lampo 
che inatteso sorride e mi dà scampo 
nella tenace mafia dei tuoi occhi.


NASCITA DEL PECCATO


Fu nel fumo, nel rossore d’un orto,
e i cotogni odoravano tutt’intorno
così forte (non bisogna ricordarsene).

in tanti, ognuno sdraiato e smorto,
un’aspide prava, un’aspide storta
ci morsicò l’occipite,
le mani adulte e furenti.

Poi ne parlammo sottovoce a due a due,
tutto quel giorno e l’altro.


PREGHIERA DI MEZZOGIORNO


Almeno mi scoppi di grida
la mente nei corridoi
di questa casa da suicida,
piena di corde e di rasoi.

Ma è sempre un altro, è sempre un altro
che si lamenta in vece mia,
e l’angoscia si fa più scaltra,
più volontaria la pazzia.

Datemi un male senza libri,
datemi un pianto senza specchi,
una croce che sopra mi vibri,
fatta solo di vento e di stecchi.


SVOLTA


Venga l’autunno a dirci che siamo vivi,
seduti sull’argine rosso
a guardare l’acqua che se ne va.
E tornino le pezze di turchino ai cancelli,
i casti numi di gesso, le rose sdrucite,
le vesti liete dei fidanzati,
tutto rinnovi il tempo il suo mite apparecchio.
Poiché, mentre l’aria rapisce
nel suo sonno le foglie del sangue,
e così piano mi tenta
quest’esule sole la fronte
è bello qui fermarsi per dirti addio,
mia giovinezza, mia giovinezza.


BARCAROLA


Infinita di fiaccole l'acqua
con le movenze di un'iride ombrosa
s'apre e s'aggrotta, s'incupisce e ride.

Ti abbandoni, le ali del viso
come una grande farfalla richiudi.

Più tardi, se ti sporgi
ai gentili alleluia della riva,
o disegni un oracolo col remo,
falò di luna labili fioriscono
sulla tua fronte, l'ora
è fulminata di felicità.


A CHI LO SA


S'io sapessi cantare 
come il sole di giugno nel ventre della spiga, 
l'obliquo invincibile sole; 
s'io sapessi gridare 
gridare gridare gridare come il mare 
quando s'impenna nel ludibrio d'aquilone; 
s'io sapessi, s'io potessi 
usurpare il linguaggio della pioggia 
che insegna all'erba crudeli dolcezze... 
oh allora ogni mattino, 
e non con questa voce roca d'uomo, 
vorrei dirti che t'amo 
e sui muri del mio cieco cammino 
scrivere la letizia del tuo nome, 
le tre sillabe sante e misteriose, 
il mio sigillo di nuova speranza, 
il mio pane, il mio vino, 
il mio viatico buono.


SETTE PAESAGGI, I


Dolce autunno che deliri alle soglie
delle selve, nel lento profumo
dei malinconici canali, vento
dubitoso ti fai fra le mie mani
che si tendono, ed è vespro, ma immenso
mare di rosa e d'indaco, se cade
sul molo l'ombra come una bandiera...


INIZIAZIONE


Nella bella pazzia
così superbo e timido
tento i miei gesti primi
come il bambino a mezzo maggio sporge
il piede bianco nel mare gentile.


ESERCIZIO CON SENTIMENTO


Per l’alto cielo odoroso d’arance
e di camicie nude al davanzale,
come caro lo scroscio che m’assale
di sole tardo la povera guancia.

Oh riaprirsi all’affettuosa lancia,
tornare uccello di giovini ali…
vita, puoi dunque ancora non fa male,
se mi dài questa incredibile mancia.

Ma tu, cuore, detrito di tempeste
inaccadute, che pensi, che dici,
nel girotondo d’arancia celeste?

Sapessi riparlarne con gli amici,
ritrovare una sera le tue feste,
ingenui moti, vanità felici.


PROGETTO DI LODE


Tu unica, tu viva, tu acqua
e aria del mio vivere
e veemente complice di morte
tu mio pugno e stendardo
contro le scure procedure della sorte;
tu mio grano, mio grembo, mio sonno,
fuoco d'inverno che sventi l'obliqua
nube di notte dove abita l'Orsa;
tu unica e viva, tu canto
di grave organo e grido
di lenta carne e fiore e cibo, mia roccia
di paragone e tiepida
tana, mia donna, mia donna, tu unica,
tu viva...


INERZIE


Con occhi all’aria, orecchie di cere,
impietrito lungo il viale,
c’è un popolo di marionette;
la mosca che volava non vola più.
Peli, unghie, licheni, hanno smesso di germogliare,
dal labbro della statua pende fiacca una goccia,
la meridiana sull’intonaco
scambia mezzogiorno per mezzanotte.
S’è fermato un cuore.


VERSI SCRITTI SUL MURO


Più lontano mi sei, più Ti risento
farmiti dentro il cuore
sangue, grido, tumore,
e crescermi sul petto.

Più sei lontano e più Ti sento addosso,
fra l’abito e la carne,
contrabbando cattivo,
volpe rubata che mi mangia il petto.


A MEDIA LUZ


Non è che festa di ventagli e tanghi
sulla rotonda dove langue il cielo.

Nacchere pigre, perfido metronomo
che assilla un poco il sangue e un po' l'assonna.

Come ci brucia in quest'ora le labbra
l'amaro miele della giovinezza;

e come affonda in un livore d'acque
la minuscola stella che ci piacque...

Ma tu grandiosa ti levi e sorridi
alle nere magnolie della notte.

Volubili fiumane ti gremiscono
le tempie e impugni una spada di luce.

Un grido solo proclama il tuo nome.
Amarti è come un'incoronazione.


da: L'amaro miele (Einaudi, 1982)


GESUALDO BUFALINO Nato il 15 novembre 1920 a Comiso (Ragusa), Gesualdo  Bufalino si è rivelato tardivamente al mondo letterario – grazie soprattutto al “lancio” fatto  dall’amico Leonardo Sciascia – con il breve romanzo “Diceria dell’untore” (1981), in cui  una degenza in sanatorio negli anni dell’immediato dopoguerra è evocata con un ricco  impiego di mezzi stilistici, tale da toccare esiti tra barocchi ed espressionisti. Tra il 1946 e il  1948 grazie al coetaneo Romano pubblica un gruppo di liriche e prose su due periodici  lombardi, “L’Uomo” e “Democrazia”; più tardi, nel 1956, collaborerà con alcune poesie a  una rubrica del Terzo Programma della RAI. Intorno al 1950 comincia a lavorare a un  romanzo, quello che sarà il vertiginoso Diceria dell’untore ma non va oltre l’abbozzo; lo  riprende portandolo a termine nel 1971, sottoponendolo quindi a una decennale revisione.  La pubblicazione di questo capolavoro, avvenuta come ricordato nel 1981 (Bufalino aveva  ormai sessantuno anni), preceduta dalla splendida introduzione a un libro di vecchie  fotografie (Comiso ieri, 1978) e da alcune pregevoli traduzioni dal francese, si trasforma  immediatamente in un autentico caso letterario, culminato nel conferimento del premio del  Campiello. Il decennio successivo è caratterizzato da una frenetica attività produttiva che  spazia dalla poesia L’amaro miele (1982) alla prosa d’arte e di memoria Museo  d’ombre (1982), dalla narrativa Argo il cieco (1984); L’uomo invaso (1986); Le  menzogne della notte (1988, premio Strega) agli elzeviri e alla saggistica Cere perse (1985); La luce e il lutto (1988); Saldi d’autunno (1990), dagli aforismi Il malpensante (1987) alle antologie Dizionario dei personaggi di romanzo (1982); Il matrimonio  illustrato (1989), in collaborazione con la moglie. Gesualdo Bufalino muore il 14 giugno  1996, nella sua Comiso, a causa di un drammatico incidente stradale.