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01 dicembre 2021

Gilda Caiti-Russo* | I trovatori come fondamento dell'identità occitana: la linea Jaufré Rudèl-Jean de Nostredame-Frédéric Mistral


Cette contribution souhaite enquêter sur la place occupée par les troubadours dans la défense et l’illustration d’une langue progressivement minorisée. L’enquête menée sans prétention d’exhaustivité, a pour objet la création du mythe du troubadour Jaufré Rudel par Uc de Saint Circ, Jean de Nostredame, Heine et Mistral. Rudèl devient ainsi l’incarnation tour à tour de l’amour héroïque à l’intention d’un public italien du XIIIe siècle, des anciens fastes d’une noblesse provençale à la recherche d’une nouvelle identité à la Renaissance, du Romantisme allemand et de l’illusion mistralienne au XIXe siècle.

Oggetto di questa comunicazione è una risposta parziale e sicuramente incompleta al ruolo giocato dalla letteratura trobadorica nel riconoscimento dell’identità e della lingua occitana in particolare nell’Ottocento, momento cruciale della formazione dello storicismo letterario europeo. Si tratta, come sapete, di un ampio campo di ricerca difficile da trattare perché legato alla ricerca delle fondazioni di un fragile edificio: quello di una lingua minorizzata a partire dal XVI° secolo.

Prima di interrogarci sulla storia della percezione dei trovatori in Francia, mi sembra opportuno dare uno sguardo alla situazione contemporanea. Vorrei partire da un esempio più che concreto. L’unica istituzione nazionale francese che rappresenti «les Langues de France» è il Consiglio Nazionale Universitario, sezione 73. Recentemente il CNU ha scritto al rettore del provveditorato di Limoges per deplorare la riduzione dell’insegnamento dell’occitano della scuola media inferiore. È interessante rilevare che, oltre alle argomentazioni tecniche relative alla altrettanto recente riforma della scuola media, che penalizza le lingue regionali, vediamo affiorare alla fine del discorso l’argomentazione dell’antico prestigio letterario della lingua: la sezione 73 del CNU ricorda in pratica al rettore di Limoges che la regione sulla quale opera è stata segnata dal passaggio dei trovatori e che è dunque inammissibile che l’occitano sparisca proprio su territori così storicamente legati ad una letteratura antica e prestigiosa.

La difesa di una lingua strutturalmente minoritaria come l’occitano, può così contare sull’arsenale argomentativo della patrimonialità della letteratura trobadorica, riconosciuta su scala mondiale da almeno due secoli di letteratura scientifica.

La domanda che vogliamo porci è dunque : come i trovatori siano stati « utilizzati » nella rivendicazione della lingua e della cultura occitana in passato, prendendo l’esempio di un trovatore particolarmente rivisitato nei secoli, come Jaufré Rudèl1.

Dal punto di vista storico, Jaufré Rudèl è stato da tempo identificato con il principe di Blaia, in Aquitania, partito dalla costa mediterranea francese nel 1148 al seguito di Alfons Jourdan conte di Tolosa per la seconda crociata in Terra Santa dalla quale non fece più ritorno.

I testi di Jaufré Rudèl che ci sono pervenuti sono appena sei: di cui solo la metà presentano un numero di attestazioni rilevanti nell’ambito della tradizione manoscritta: Lancan li jorn son lonc en mai (diciannove attestazioni), Quan lo rius de la fontana (diciotto attestazioni), Quan lo rossinhols el foillos (tredici attestazioni) 2.

Altrimenti detto, si tratta di una trasmissione ben limitata rispetto all’opera di altri trovatori altrettanto conosciuti come Bernart de Ventadorn, Bertran de Born, Pèire Cardenal.

Questa poesia si ispira ad un onirismo erotico di matrice araba e risulta alla lettura piuttosto ermetica, come l’attestano i fiumi di inchiostro, filologico e non, versati su di essa (Zambon 247-51).

Un secolo dopo la morte di Jaufré Rudèl, nel Duecento, Uc de Saint Circ, trovatore caorsino, espatriato alla corte dei Da Romano, a Treviso, utilizza una probabile leggenda diffusasi già in Occitania intorno alla morte di Jaufré Rudèl, e redige quindi la celebre «vida» del trovatore. Questo testo di grande concisione e bellezza permette di trasformare il principe in un crociato dell’amore lontano partito alla ricerca della contessa di Tripoli senza averla mai vista. Ammalatosi di peste durante il viaggio in mare per la Terra Santa, il principe aquitano ha appena il tempo di riprendere conoscenza per morire tra le braccia della contessa.

Il modello di Uc de Saint Circ è senza dubbio un modello agiografico, edificante e moralizzatore che trasforma completamente l’erotismo onirico dei rari testi del poeta. Il modello funziona facendo del trovatore un esempio sicuro di eroismo medievale, trasformandolo in un vero e proprio martire dell’amore cortese. Scagionato da ogni possibile accusa di immoralità, Jaufré è ormai una definizione dell’amore assoluto e definitivo e, come tale, godrà di una grande fortuna.

L’operazione di riscrittura dell’opera di Jaufré Rudèl è dunque già medievale: il programma del Duecento, si sa, è quello che Aurelio Roncaglia chiamava «l’ingentilimento cortese». La campagna pedagogica e moralizzatrice che doveva fondare idealmente la legittimità delle signorie italiane (Meneghetti passim) permetteva a Uc de Saint Circ di orientare nuovamente la lettura di testi scritti per un’altra epoca e per un altro pubblico.

Tre secoli dopo Uc de Saint Circ, Jean de Nostredame, nel Cinquecento, rinuncia deliberatamente all’edizione dei testi trobadorici che egli dice di possedere parlando del canzoniere di Sault. L’umanista di Aix-en-Provence, preferisce invece riscrivere le biografie dei trovatori, genere come abbiamo visto, già esistente nel medioevo, che si afferma definitivamente come supporto ideale per l’interpretazione e il riutilizzo dei poeti occitani.

Nostredame apre le sue vite proprio con Jaufré Rudèl e ne amplifica la storia nella quale si può riconoscere però facilmente come ipotesto la vita medievale attribuita a Uc de Saint Circ. Il fatto più importante e rilevante è la trasformazione di un principe aquitano in un membro della nobiltà provenzale: siamo così passati da Blaya (in Aquitania) a Blieux (in Provenza).

Il falsario (così il filologo Paul Meyer chiamava Nostradame) è in realtà un narratore non privo di abilità, come l’autore del Novellino, con il quale diversi raffronti sono possibili. A Nostredame deve essere insomma riconosciuto il merito di voler per primo utilizzare i trovatori come leva di prestigio e mito delle origini in quella che può essere ormai letta come una rivendicazione culturale e politica della Provenza. (Casanova passim)

Scrivendo le vite dei trovatori in francese e dedicando l’opera alla regina di Francia, Jean de Nostredame rivendica l’esistenza della Provenza mitica del medioevo e di un’aristocrazia cinquecentesca, che ne ha ereditato idealmente i fasti e che è pronta a giocare un ruolo importante nella nuova configurazione politica francese.

Nostredame è una delle fonti più importanti per capire l’importanza che Frédéric Mistral attribuisce ai trovatori e il loro ruolo nella dinamica di rivendicazione della cultura della lingua e della letteratura occitanica promossa dal Félibrige nell’Ottocento.

È infatti Nostredame à nutrire l’immaginazione di Mistral su Jaufré Rudel. Leggiamo qualche estratto di uno dei più celebri discorsi mistraliani:

En foro e au-dessus de la realita, — qu’abandounan, Messiés, i disputo dóu siècle, —nous-autre, pèr idèio, vesèn à nòstis iue resplendi la Prouvènço, talo que la naturo emé l’istòri nous l’an facho, e ié disèn coume Rudèl : « Iéu t’ame, o ma bello, o ma sèmpre bello ! » nous-autre, toujour jouino e toujour souleianto, la vesèn viéure e triounfla, coume un fougau eterne de pouësìo e de clarun, coume un païs de joio e d’enavans e d’aveni, qu’a fourni éu soulet proun lume e proun amour pèr civilisa lou mounde ; car, se tóuti li sant e tóuti li grands ome e tóuti lis ilustre, qu’an trena la courouno dóu blasoun prouvençau, au noum de Santo-Estello, poudien aro prene cors e se dreissa davans nous-autre, aquéu pont couloussau que porto la Durènço, emé si cènt pourtau, noun sarié pas proun large pèr ié servi d’arc-de-triounfle ! Messiés, aquèu miracle d’ilusion e d’amor que fai revièure encaro au bout de sept cents ans lou trobaire Rudèl e la comtesso Melisendo, aquèu galant miracle de pouesìa e d’ilusion, lo Felibrige l’acomplís per la Provènço (Mistral, 36-37).

Lasciamo perdere signori le beghe di questo secolo : al di fuori e al di sopra della realtà noi vediamo con l’immaginazione risplendere ai nostri occhi la Provenza, così come la natura e la storia l’han fatta, e diciamo a lei come Rudel: «t’ amo mia bella, mia sempre bella », noi la vediamo sempreverde e radiosa vivere e trionfare come un focolare eterno di poesia e di luce, come un paese della gioia, del divenire e dell’avvenire che ha dato da solo abbastanza luce e amore per civilizzare il mondo. Se tutti i santi, tutti gli uomini grandi e illustri, che hanno sostenuto la corona del blasone provenzale in nome della sainte Estelle, potessero prendere corpo e elevarsi davanti a noi, quel ponte colossale costruito sulla Durenza con i suoi cento portici non sarebbe abbastanza largo per servir loro d’arco di trionfo! Signori, quel miracolo d’illusione e d’amore che fa rivivere ancora dopo settecento anni il trovatore Jaufré Rudel e la contessa Melisenda, quel miracolo galante di poesia e d’illusione, il Félibrige lo compie per la Provenza3.

Ecco un esempio evidente dell’eloquenza romantica di Frédéric Mistral volta a suscitare la passione ma anche a definire, attraverso il rapporto con il passato, per cosa e per chi è giusto appassionarsi. È importante a mio avviso porsi due domande: chi è il primo destinatario di questo messaggio e qual è il senso della presenza del trovatore Rudèl a cui si attribuisce, nell’estratto letto, una dichiarazione d’amore eterno.

Una prima considerazione: il destinatario di Mistral non è un pubblico provenzale ma un auditorio ben più ampio. Jaufré Rudel non è più un trovatore provenzale come in Jean de Nostredame ma di nuovo aquitano e occitano, poiché il Jaufré Rudèl storico e destinato a incarnare un mito sopraregionale. Mistral sta costruendo l’utopia occitana facendo riscoprire una civiltà che si espande ben al di là della Provenza propriamente detta e che ricopre le sue regioni storiche Aquitania, Linguadoca e Provenza. Le parole dette da Rudèl non si trovano nel ridottissimo, a dire il vero, canzoniere del poeta aquitano, bensì in una ballata del poeta tedesco Heinrich Heine. Continuando a leggere il discorso l’Ilusioun, troviamo:


Un pouèto alemand, lou celèbre Henri Heine, a escri aqui-dessus uno balado deliciouso. Henri Heine nous dis qu’au castelas de Blaio, i’a, contro li paret, uno tapissarié de sedo ounte la bello Melisèndo a brouda elo-memo l’istòri doulourouso de sis amour emé Rudèl ; e depièi sèt cènts an, tóuti li niue, dis lou pouèto, quand la luno clarejo à travès li fenèstro, lou troubaire e sa dono sorton, pau à cha pau, de la tapissarié, e, au bras l’un de l’autre, en trevant plan-planet dins li salo goutico, recoumençon plan-plan si dous prepaus d’amour.

    -Melisèndo ! éu ié dis, quand regarde tis iue, iéu revive : noun i’a de mort en iéu que la peno, que lou mau qu’ai agu sus la terro.

    -Jaufret ! elo ié dis, nous amavian, pèr tèms, en pantaiant : vuei, nous aman de-bon enjusquo dins la mort. Lou diéu Amour a fa miracle.

    -Melisèndo ! éu ié respond, qu’es lou pantai e qu’es la mort ? Rèn que de mot. Dins l’amour tout soulet i’a lou verai, e iéu t’ame, o ma bello, o ma sèmpre-bello ! (Mistral 37-38)


Un poeta tedesco, il celebre Enrico Heine ha scritto su questo soggetto una ballata deliziosa. Enrico Heine ci dice che sulle pareti del castello di Blaia si trova un arazzo di seta dove la bella Melisenda in persona ha ricamato la storia del suo amore per Rudel: e dice il poeta che, da settecento anni, tutte le notti, quando la luna risplende attraverso la finestra, il trovatore e la dama escono pian piano dall’arazzo l’uno al braccio dell’altra e, occupando la sala gotica, ricominciano i loro dolci detti d’amore.

    -Melinsenda, quando guardo i tuoi occhi rivivo: non c’è di morte in me che la pena e il male sofferti sulla terra.

    -Goffredo, ci amavano un tempo sognando: oggi ci amiamo veramente e al di là della morte. Il dio amore fa questo miracolo.

    -Cos’è il sogno e cos’è la morte? Solo parole. E solo nell’amore c’è il vero e io t’amo mia bella, mia sempre bella.

Avrete riconosciuto, tra le altre cose, la fonte di una famosa ballata di Carducci che ricorre a una mitizzazione del trovatore già esistente nella letteratura romantica tedesca.

Mistral aveva senza dubbio avuto tra le mani le edizioni dei trovatori dell’ottocento, almeno quelle francesi, Le Choix des troubadours del già citato Raynouard e il Parnasse occitanien di Rochegude, pubblicato in quegli stessi anni (1816-1821). Lo scrittore provenzale giustifica e riprende la rivendicazione di Nostredame allargandola nel rispetto del fenomeno trobadorico alle tre grandi regioni storiche (Aquitania, Linguadoca e Provenza). Quello che gli interessa però non è la filologia ma la nuova vita che i testi possono ancora dare ad una lingua e ad una civiltà.

Egli stabilisce perciò un legame analogico tra l’antica leggenda e l’attualità felibrenca. L’idea proposta è di far amare ai felibre la Provenza al modo in cui Jaufré aveva amato la contessa di Tripoli. Il «miracolo galante di poesia e di illusione» incarnato per Jaufré Rudel dispiega, in questo discorso, tutto il potenziale utopico e rivoluzionario che la letteratura porta in sé, da sempre, nella storia delle nazioni nate in quei frangenti, in quello stesso secolo: l’Italia e la Germania. È facile citare qui la frase di Luigi Settembrini che afferma con convinzione che la lingua «tiene luogo di patria».

È indubbio in ogni caso che la vita di Jaufré Rudel assurga qui a programma culturale del félibrige.

Mistral, da poeta, attraverso il racconto mitico della vita di Jaufré Rudel, sta dando il senso della rinascita occitana superando al contempo il rischio dello «strapaese» grazie all’apertura a Heine e collocandosi idealmente nella costruzione delle nazioni ottocentesche.

A partire da Nostredame, riletto attraverso Heine, Mistral rifonda la consapevolezza e la rivendicazione dell’esistenza di un patrimonio culturale minorizzato, mostrando anche qui come la riscrittura permetta l’attualizzazione.

Mistral combatte contro il rischio dell’obblio della civiltà dei trovatori e la negazione già operante nella prima metà dell’ottocento. Ci permettiamo di ricordare brevemente quello che era successo in quel periodo e a che cosa Mistral risponde:

Come l’ha notato Philippe Martel (423-436), alcuni grandi intellettuali francesi dell’epoca si interessano alla questione della letteratura trobadorica: Raynouard, autore dell’antologia in più volumi Choix des poésies originales des troubadours pubblicati tra il 1816 e il 1821 a Parigi, Claude Fauriel, professore al Collège de France, sul quale ritorneremo, storici del calibro di Sismondi e Michelet. La letteratura trobadorica interessa gli intellettuali liberali perché porta pietre all’edificazione della nazione e perché è un’argomentazione di peso nella querelle franco-germanica sul primato nelle letterature moderne: per la sua precocità, in effetti la letteratura trobadorica precede le letterature germaniche, più tardive. Essa è dunque al centro delle preoccupazioni degli araldi della cosiddetta Francia latina.

Dal canto loro anche Madame de Staël e Stendhal valorizzano i testi trobadorici mettendoli in rapporto con la poesia delle origini, mito di tutti i romantici soprattutto tedeschi e inglesi.

Non ci si limita ai trovatori ma si include nel discorso civilizzazionale anche l’epopea tolosana della Chanson de la croisade contre les Albigeois che il filologo Claude Fauriel, riscopre nello stesso periodo in cui viene scoperta la chanson de Roland.

Fauriel è per intenderci, l’intellettuale con il quale il nostro Alessandro Manzoni ha scambiato almeno cento lettere durante la redazione delle tragedie di argomento medievale.

Ma la progressione delle conoscenze non gioca proprio a favore dei trovatori. La letteratura trobadorica si trova di fatto ben presto associata alla crociata contro gli albigesi che ne indicherebbe il declino. Gli imbarazzanti cadaveri della crociata pongono certo un bel problema ai maîtres à penser desiderosi di dare fondamenti storici alla nazione: se la civiltà trobadorica fosse stata veramente accolta a pieno titolo nello schema storicistico francese, la futura nazione francese sarebbe nata di fatto della distruzione della prima grande civiltà letteraria sorta sul suo territorio.

Si capisce dunque chiaramente perché la storia della letteratura francese ottocentesca dopo un momento di indubitabile interesse, quello che abbiamo definito della Francia latina, preferisca di gran lunga ai trovatori la Chanson de Roland più ideologicamente consona all’elaborazione del concetto di nazione francese: basta non andare troppo per il sottile e non attardarsi sulla lingua del manoscritto di Oxford, che è, come è noto, l’anglo-normanno! La letteratura trobadorica divenuta politicamente scorretta viene dunque confinata nell’ambito ahimè alquanto ristretto della filologia (che, rimanendo in Francia una disciplina estremamente tecnica, ha almeno ben poca influenza sulla storia del pensiero). Nella querelle franco-germanica di fine Ottocento è interessante notare con Ursula Bähler (159, 407-456) quanto poco il gran filologo Gaston Paris si sia occupato di letteratura d’oc, a differenza di Paul Meyer.

L’altro escamotage per liquidare la questione trobadorica è lasciarla ai ricercatori stranieri soprattutto tedeschi, italiani poi spagnoli che ne faranno del resto sin dall’inizio anch’essi un supporto argomentativo per risolvere questioni relative alla lingua e alla letteratura dei loro rispettivi paesi. In Italia per esempio, gli studi provenzali sono stati indubbiamente condizionati da quanto dei trovatori ci dicono Dante, Petrarca ma anche il teorico della lingua Pietro Bembo. I trovatori fanno parte in un certo senso del patrimonio culturale italiano da secoli.

La situazione di confinamento ottocentesco dell’opera trobadorica è il terreno che prepara l’imminente rivendicazione dei trobaires, i fondatori della rinascita occitana del Felibrige di cui prenderà la testa Frédéric Mistral dopo il successo de suo romanzo Mirelha.

La rivendicazione contro la marginalizzazione attuale della lingua e della cultura occitane parte anch’essa in Mistral dall’evocazione dei trovatori: un ritorno che permette di riscrivere nuovi testi e di porre i moderni sulle spalle degli antichi. Pilastro dell’occitanismo moderno e contemporaneo, i trovatori sono riscritti e riattualizzati nell’opera dei grandi scrittori della rinascita d’oc del XX secolo: René Nelli, Max Rouquette, Robert Lafont, Pierre Bec.

Per i due cattedratici medievisti recentemente scomparsi, Lafont et Bec, è interessante vedere come l’opera filologica accademica è stata da sempre accompagnata da un’opera creativa. C’è spazio per la mitopoiesi, la creazione del mito delle origini trobadoriche, nel testamento poetico di Robert Lafont (2002a), La Gacha a la cisterna (Caiti-Russo 2015) ma anche per la figura del professore d’occitano antico considerato con grande auto-ironia come un vero alieno dallo stesso Pierre Bec.

Gli ultimi dieci anni dell’attività di ricerca di Robert Lafont portarono in ogni caso alla dimostrazione lenta, paziente, onnicomprensiva dell’esistenza di un’epica occitana precedente a quella francese. Se la dimostrazione risulta storicamente convincente e riprende del resto l’antica e ugualmente fondata argomentazione di Claude Fauriel che abbiamo più volte citato, essa non ha avuto echi in Francia ma soltanto in Italia e in Belgio: in Italia fu accolta da Alberto Varvaro e in Belgio da Rita Lejeune. Si tratta di ambienti universitari di fama internazionale e non condizionati dall’ideologia nazionale francese che si fonda in definitiva sulla priorità cronologica della chanson de Roland.

È tempo di concludere: come vedete, la battaglia per l’esistenza dei trovatori nel loro territorio è ancora aperta e ancora tutta da giocare per gli anni a venire. Fondamento per la rivendicazione occitana attuale, i trovatori cercano ancora una loro collocazione nel patrimonio culturale francese, e dunque nell’insegnamento, unico luogo della trasmissione e della lingua come della cultura occitana, questione cruciale dalla quale sono partita all’inizio di questo breve viaggio attraverso la ricezione di Jaufré Rudel.

* Université Paul-Valéry Montpellier



Notes


1 Si tratta del titolo di un famoso libro di Robert Lafont (1992). Lafont (2002) ha lasciato come testamento scientifico l’illustrazione della letteratura d’oc come origine dell’Europa letteraria.
2 Si tratta dei testi classificati rispettivamente con i n° 262,02 262,05 262,06 nella «Bibliografia elettronica dei trovatori».
3 Le traduzioni degli estratti del discorso di Mistral sono dell’autrice dell’articolo.



Bibliographie

Asperti Stefano et alii, 2012 «Bibliografia elettronica dei trovatori», www.bedt.it.
Bähler Ursula, 2004, Gaston Paris et la philologie romane.
Casanova Jean-Yves, 2012, Historiographie et littérature au XIVe siècle en Provence. L’œuvre de Jean de Nostredame.
Caiti-Russo Gilda, 2015, «Le trobar dans l’amirador de la gacha», in M.-J. Verny, Les Troubadours dans le texte occitan du XXe siècle, 317-330.
Fauriel Claude, 2011, Histoire de la poésie provençale; réimpression de l’édition de 1846 accompagnée d’une préface, d’une introduction et d’une bibliographie par Udo Schöning, «Recherches littéraires médiévales », 3 tomes.
Lafont Robert, 1992, La Revendication occitane.
Lafont Robert, 2002a, La Gacha a la cisterna.
Lafont Robert, 2002b, La Source sur le Chemin; à l’origine de l’Europe littéraire.
Martel Philippe, 2010, Les Félibres et leur temps. Renaissance d’oc et opinion (1850-1914), PUB.
Mistral Frédéric, 1906, «L’Ilusioun», in Discours e Dicho, 36-39.
Meneghetti Maria-Luisa, 1992, Il pubblico dei trovatori.
Di Girolamo Costanzo et alii, www.rialto.unina.it : edizione di riferimento delle canzoni e della vida di Jaufré Rudel.
Raynouard François Juste Marie, 1816-21, Choix des poésies originales des troubadours, 6 vol.
Rochegude Henri Pascal de, 1819, Le Parnasse occitanien.
Zambon Francesco, 1991, «L’amante onirica di Guglielmo IX», Romanistische Zeitschrift für Literaturgeschichte, heft 3⁄4, 247-261.


da: Lengas, 79 | 2016